Lucio Battisti, quel genio che reinventò la musica avrebbe compiuto 75 anni

Lucio Battisti, quel genio che reinventò la musica avrebbe compiuto 75 anni
Che Lucio Battisti fosse avanti, ce se ne accorgeva sempre dopo. Morì nel settembre 1998, a soli 55 anni, ma già prima dei 30 si era sottratto alla scena pubblica,...

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Che Lucio Battisti fosse avanti, ce se ne accorgeva sempre dopo. Morì nel settembre 1998, a soli 55 anni, ma già prima dei 30 si era sottratto alla scena pubblica, in controtendenza al rampante culto dell'immagine e alla voglia di apparire. Domani ne avrebbe compiuti 75, il primo LP uscì per il compleanno, 5 marzo del 1969, e conteneva molti brani scritti da lui e Mogol ma portati al successo da altri (Dik Dik, I Ribelli, Equipe 84). Era in giro da parecchio, con I Mattatori a Napoli, I Satiri a Roma, I Campioni a Milano, per provare a vivere di chitarra. Non era convinto delle sue doti vocali. Nell'Italia del belcanto e della perfetta educazione della voce, sembrava non esserci posto per un talento ritenuto afono e stonato. Non c'era posto finché non se l'è preso, seduto in quel caffè. Il debutto fu sorprendente: Un'avventura, Non è Francesca, Balla Linda, che ribaltava la struttura classica attaccando con un ritornello, e 29 settembre, senza un inciso canonico.

Era diverso, Lucio. Ascoltava Hendrix, Animals, Otis Redding, Dylan, non gli chansonnier francesi. Coniugava la musica angloamericana e la melodia italiana, non emulava, era al di fuori degli schemi da importazione. Niente ugola d'oro e ghirigori, demandava all'intenzione del momento, all'interpretazione. 
Così, Lucio e crudo. Fece scuola. Nuovi ritmi e idee, stava anche sei mesi su un brano, da cultore del suono quale era, come conferma Masters, cofanetto con i nastri analogici restaurati, però era pronto a cogliere l'attimo di verità, tenendo una frase o un colpo di cassa fuori posto perché, diceva, «fa sound». Tu chiamale, se vuoi, invenzioni.
 
IL QUOTIDIANO
Lui e Mogol andavano a gonfie vele. Prima la musica, poi il testo, ma vivendo insieme era difficile capire dove iniziasse l'uno e finisse l'altro. Dall'idea donchisciottesca di un viaggio a cavallo da Milano a Roma, che fecero in sella a Pinto e Ribatejo per 25 giorni, dormendo sotto le stelle, nacque Emozioni. Raccontavano la sfera del quotidiano e del privato, certe fragilità maschili, non il sociale né il politico. Il che, in un clima di contestazione, fu scambiato per colpevole disimpegno. Volevano essere, semmai, indipendenti, e infatti crearono la Numero Uno, l'etichetta per avere il controllo sulle opere. Per tutti i '70, saturarono le classifiche.

SÌ, VIAGGIARE
Ogni disco diverso. E sì, viaggiare. In Brasile e Argentina per tornare con tempi dispari, prog e influenze sudamericane, ripartire per l'Inghilterra in direzione disco music. I suoi album li ascoltavano David Bowie e Paul McCartney. Dopo il divorzio da Mogol, seguirono gli album bianchi con i testi di Pasquale Panella, più ermetici, legittimi per uno che voleva precedere, non seguire, il pubblico. Lo spiegò nel commiato a Radio Svizzera: «La musica la concepisco come una cosa che si rinnova. Dopo un disco, io sono già da un'altra parte». E chiuse con il mondo esterno.

Il canto ora è libero fino a un certo punto. La vedova Battisti non consente manifestazioni per ricordarlo né l'utilizzo delle canzoni. Da una parte protegge da operazioni svilenti e furbizie da revival, dall'altro impedisce ingiustamente la celebrazione collettiva più spontanea, che coinvolge invece altri grandi come Dalla, Pino Daniele, De André. Si teme che Battisti non raggiunga i giovani. La sua discografia è assente dalle piattaforme di streaming. Per molti è un protezionismo assurdo, l'arte appartiene all'umanità. Come può uno scoglio arginare il mare? Battisti è comunque molecola d'aria. Prima o poi arriva, si ritrova nella scena indie e nel mainstream, e di lui oggi si rivaluta tutto, il nazionalpopolare e l'impopolare. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero