Lucio Battisti, quel genio che reinventò la musica avrebbe compiuto 75 anni

Lucio Battisti, quel genio che reinventò la musica avrebbe compiuto 75 anni
di Simona Orlando
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Domenica 4 Marzo 2018, 11:13 - Ultimo aggiornamento: 11 Marzo, 20:19

Che Lucio Battisti fosse avanti, ce se ne accorgeva sempre dopo. Morì nel settembre 1998, a soli 55 anni, ma già prima dei 30 si era sottratto alla scena pubblica, in controtendenza al rampante culto dell'immagine e alla voglia di apparire. Domani ne avrebbe compiuti 75, il primo LP uscì per il compleanno, 5 marzo del 1969, e conteneva molti brani scritti da lui e Mogol ma portati al successo da altri (Dik Dik, I Ribelli, Equipe 84). Era in giro da parecchio, con I Mattatori a Napoli, I Satiri a Roma, I Campioni a Milano, per provare a vivere di chitarra. Non era convinto delle sue doti vocali. Nell'Italia del belcanto e della perfetta educazione della voce, sembrava non esserci posto per un talento ritenuto afono e stonato. Non c'era posto finché non se l'è preso, seduto in quel caffè. Il debutto fu sorprendente: Un'avventura, Non è Francesca, Balla Linda, che ribaltava la struttura classica attaccando con un ritornello, e 29 settembre, senza un inciso canonico.
Era diverso, Lucio. Ascoltava Hendrix, Animals, Otis Redding, Dylan, non gli chansonnier francesi. Coniugava la musica angloamericana e la melodia italiana, non emulava, era al di fuori degli schemi da importazione. Niente ugola d'oro e ghirigori, demandava all'intenzione del momento, all'interpretazione. 
Così, Lucio e crudo. Fece scuola. Nuovi ritmi e idee, stava anche sei mesi su un brano, da cultore del suono quale era, come conferma Masters, cofanetto con i nastri analogici restaurati, però era pronto a cogliere l'attimo di verità, tenendo una frase o un colpo di cassa fuori posto perché, diceva, «fa sound». Tu chiamale, se vuoi, invenzioni.
 
IL QUOTIDIANO
Lui e Mogol andavano a gonfie vele. Prima la musica, poi il testo, ma vivendo insieme era difficile capire dove iniziasse l'uno e finisse l'altro. Dall'idea donchisciottesca di un viaggio a cavallo da Milano a Roma, che fecero in sella a Pinto e Ribatejo per 25 giorni, dormendo sotto le stelle, nacque Emozioni. Raccontavano la sfera del quotidiano e del privato, certe fragilità maschili, non il sociale né il politico. Il che, in un clima di contestazione, fu scambiato per colpevole disimpegno. Volevano essere, semmai, indipendenti, e infatti crearono la Numero Uno, l'etichetta per avere il controllo sulle opere. Per tutti i '70, saturarono le classifiche.

SÌ, VIAGGIARE
Ogni disco diverso. E sì, viaggiare. In Brasile e Argentina per tornare con tempi dispari, prog e influenze sudamericane, ripartire per l'Inghilterra in direzione disco music. I suoi album li ascoltavano David Bowie e Paul McCartney. Dopo il divorzio da Mogol, seguirono gli album bianchi con i testi di Pasquale Panella, più ermetici, legittimi per uno che voleva precedere, non seguire, il pubblico. Lo spiegò nel commiato a Radio Svizzera: «La musica la concepisco come una cosa che si rinnova. Dopo un disco, io sono già da un'altra parte». E chiuse con il mondo esterno.
Il canto ora è libero fino a un certo punto. La vedova Battisti non consente manifestazioni per ricordarlo né l'utilizzo delle canzoni. Da una parte protegge da operazioni svilenti e furbizie da revival, dall'altro impedisce ingiustamente la celebrazione collettiva più spontanea, che coinvolge invece altri grandi come Dalla, Pino Daniele, De André. Si teme che Battisti non raggiunga i giovani. La sua discografia è assente dalle piattaforme di streaming. Per molti è un protezionismo assurdo, l'arte appartiene all'umanità. Come può uno scoglio arginare il mare? Battisti è comunque molecola d'aria. Prima o poi arriva, si ritrova nella scena indie e nel mainstream, e di lui oggi si rivaluta tutto, il nazionalpopolare e l'impopolare.

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