Pulizia nelle scuole, allarme delle imprese: sedicimila posti di lavoro sono a rischio. Sotto accusa il provvedimento del governo sulle misure di reclutamento del personale...
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Rifiuti, il Garante: «Salute a rischio, chiudere le scuole»
L'iniziativa unitaria è servita a spiegare le ragioni della contrarietà al provvedimento che, come prima conseguenza, vedrà 16mila procedure di licenziamento a fronte di 11.263 unità che verranno riassunte, secondo il Miur, da gennaio 2020.
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Da una prima analisi del provvedimento emergono profili di incostituzionalità, contrasto con decreti, trattati e norme europee, mancanza di una appropriata analisi costi-benefici, tempi di attuazione troppo stretti, incertezza sulle coperture. «Dalla pubblicazione del decreto deriverebbero innumerevoli ricorsi - spiega Lorenzo Mattioli, Presidente di ANIPConfindustria - rendendolo inattuabile nei tempi necessari. Penso che a gennaio 2020 le scuole non saranno né pulite né manutenute, con rischio per la didattica, senza garanzie per la salute e l'incolumità di alunni e docenti. Altra criticità è l'obbligo per i candidati di presentare domanda solo nell'ambito provinciale nel quale già prestano servizio, in palese violazione dei principi costituzionali e comunitari, evocando usanze da Medio Evo. Il paradosso è che il decreto viene presentato come strumento per superare il precariato, mentre assume dipendenti che già erano a tempo indeterminato presso il privato». Per Fabrizio Bolzoni, direttore di Legacoop Produzione e Servizi, «consideriamo un pesante arretramento l'indirizzo assunto dal Governo di internalizzare il servizio delle pulizie scolastiche; un passo indietro rispetto ad una modalità, consolidata da decenni, che ha consentito recuperi di efficienza nei processi produttivi». Secondo Massimo Stronati, presidente Confcooperative Lavoro e Servizi, «un'internalizzazione che crea esuberi non è un bel segnale al Paese. Il lavoro e le imprese sono il fulcro del public procurement che può rilanciare il PIL. Internalizzando si penalizzano le imprese che sono cresciute mettendo il lavoro al centro. Non ci sono solo Ilva o Alitalia. Il governo convochi le parti sociali. Abbiamo 5.000 esuberi e imprese condannate a pagare la NaSpI per un appalto che finisce per volontà di Stato». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero