Andare oltre l'8 marzo, gli interventi di Severino, Carfagna, Goitini e Salis: «Conquiste non casuali, si punti sul merito»

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Silvia Salis: «La competizione insegna ad affermarsi»

L’8 marzo è un giorno molto discusso, celebrato, criticato a volte nella sua deriva frivola, ma di certo necessario. Donne e sport è, invece, un binomio culturalmente significativo perché nelle sue traduzioni statistiche si annidano molte delle resistenze della nostra società alla reale parità di genere. Le donne praticano meno sport, non ad alto livello in quanto le squadre che schieriamo ai Giochi Olimpici sono sostanzialmente bilanciate, ma in media la pratica di base vede un’importante differenza a favore degli uomini. Questo dato si amplifica nel sud Italia, complice la carenza di impianti, e si lega ad un bassissimo tasso di occupazione femminile. Lo sport quindi emancipa: le donne che studiano e lavorano sono le donne che più praticano sport e viceversa.

Passando ai numeri della dirigenza femminile in questo settore notiamo come impressionino in negativo: poche donne si avvicinano alla dirigenza e pochissime arrivano ai vertici perché, a partire dalle società sul territorio, il potere sportivo è ancora “un gioco da ragazzi”. Il mio pensiero è che le donne presto non abbiano più bisogno di pari opportunità, ma di pari probabilità: non la formale opportunità di accedere ad un posto di potere, ma un cambiamento culturale che dia a tutte la reale probabilità di competere alla pari. Ogni uomo intelligente e con una visione collabora per questo obbiettivo: perché se è vero che esistono uomini mediocri non misogini, è anche vero che ogni uomo misogino che incontro è mediocre e senza futuro. Perché un paese dove le donne sono emancipate e parte attiva delle società, è un paese più sano, è un paese più ricco ma soprattutto più giusto e dove c’è giustizia c’è libertà, per tutti.

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