Un brandello di lenzuolo legato alla grata e avvolto al collo nel bagno di una cella nella seconda sezione del carcere di Regina Coeli. Pochi secondi e poi il buio. È morto...
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Una struttura, che sostituisce le carceri psichiatriche, gestita dalla sanità territoriale del Lazio in collaborazione con il ministero di Grazia e Giustizia, il cui compito non è solo quello di garantire la detenzione ma fornire anche un percorso terapeutico riabilitativo. Il giovane che è morto a Regina Coeli dopo essere evaso dalla struttura è stato ripreso ma invece che essere ricondotto alla Rems è stato trasferito in carcere con le accusa di lesione a pubblico ufficiale e danneggiamento. «Reati tutto sommato irrilevanti - commenta ancora Anastasia - e legati al fatto che era andato via dal Rems».
«I numeri non ingannano - aggiunge il presidente della Camera Penale di Roma, l'avvocato Cesare Placanica - i suicidi in carcere sono statisticamente superiori in modo incomparabile a quelli che avvengono fuori dalla mura di detenzione. Ma i numeri confermano quello che è sotto gli occhi di tutti, e che solo chi dovrebbe vedere non vuole vedere. Condizioni di detenzione inumane, quanti morti ancora saranno necessari perché certe coscienze comincino a rimordere?». Un dato su tutti, il carcere di Regina Coeli ospita 911 detenuti rispetto ai 622 previsti dalla capienza della struttura. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero