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Tre morti, una inchiesta per omicidio e incendio colposi e una serie di domande senza risposta. Un ospedale dovrebbe essere il luogo più sorvegliato e protetto, invece a Tivoli ha visto svilupparsi un incendio dai rifiuti accumulati in un piazzale, prodursi uno strano focolaio, forse due, diffondersi il fumo con una intensità e una rapidità che sorprende visto che le porte “spaccafuoco” servono (o dovrebbero servire) per dividere gli edifici in compartimenti stagno per ragioni di sicurezza. Nei reparti, alcuni degenti hanno raccontato: «Il fumo filtrava attraverso i controsoffitti e da sotto le porte tagliafuoco forse non ben fissate». E c’era chi metteva stracci bagnati sulle fessure per impedirne il passaggio.
ANOMALIE
Ma all’ospedale di Tivoli, nella drammatica notte dell’Immacolata, ha dimostrato una evidente inadeguatezza l’impianto anti incendio, perché non sono scattate sirene di allarme (solo l’odore di fumo ha fatto intuire il pericolo ai primi infermieri intervenuti e ai ricoverati), non si sono azionati sistemi di spegnimento automatico con spruzzi d’acqua, un idrante presente era fuori uso. Complessivamente sono state evacuate 192 persone, quasi tutte intossicate anche solo lievemente: escludendo il personale medico, i pazienti erano 174, tra cui bambini di tutte le età e anche tre neonati che sono stati trasferiti in altri ospedali romani e in quelli di Colleferro, Palestrina e Monterotondo. Un’evacuazione che si è basata non su un piano ben studiato, ma sull’enorme coraggio e l’impegno dei sanitari prima, di vigili del fuoco, polizia e carabinieri poi a supporto, nonché di tanti volontari. Oggi Tivoli, 60 mila abitanti a Est di Roma, si ritrova senza un pronto soccorso, senza 220 posti letto, dovrà appoggiarsi nei presidi delle cittadine vicine, salteranno esami, analisi, interventi programmati sono, dialisi e cure oncologiche. Si lavora per attivare almeno un posto di primo soccorso.
L’inferno si scatena nella tarda serata. Bisogna spostarsi nel retro del vecchio ospedale che si arrampica su una collinetta e questo fa sì che vi siano locali ai piani meno 3 e meno 2. Dietro c’è una sorta di cortile, protetto da una cancellata, dove vengono stoccati i rifiuti ospedalieri da smaltire. Poco distanti gli spogliatoi del personale.
Fin qui la tragedia. Al mattino arriva il presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, il quale avrà anche un briefing con il procuratore capo Francesco Menditto, e si sfoga: «Non tollero ciò che è successo, un ospedale è un luogo in cui si salvano le vite, non dove trovi la morte per un rogo. Vogliamo capire cosa non ha funzionato nel sistema antincendio. Io so solo che a giugno avevamo stanziato centinaia di milioni per l’adeguamento in tutti gli ospedali del Lazio, 12 erano destinati proprio a quest’area». L’impianto anti incendio del S. Giovanni Evangelista risale al 2016, dunque non è stato adeguato alle nuove norme. Fonti sindacali parlano della mancata presenza del servizio di guardia anti-incendio (ma su questo non ci sono conferme) e prove di evacuazione dell’ospedale non erano mai state fatte. Poco dopo a Tivoli giunge anche il ministro della Salute, Orazio Schillaci: «Non so davvero cosa può essere successo, ma abbiamo massima fiducia negli inquirenti».
LA SCINTILLA
Altra domanda: perché quando è saltata la corrente non sono partiti i sistemi di alimentazione alternativa e alcune aree sono rimaste al buio? La Procura procede, per ora, contro ignoti. È attesa la relazione del Nia, il Nucleo investigativo antincendi dei vigili del fuoco per meglio delineare le responsabilità. Possibile che qualcuno abbia innescato la scintilla? Anche solo gettando una sigaretta nel via vai dello spogliatoio o dai piani superiori. Nella conferenza stampa di ieri Menditto ha raccontato: «Abbiamo acquisito numerose immagini dalle telecamere interne, da cui abbiamo un quadro chiaro su quanto accaduto e attraverso le quali al momento possiamo escludere il dolo». Ha confermato che il fuoco parte dall’area esterna, dove c’è lo stoccaggio dei rifiuti ospedalieri. «L’intervento di spegnimento è durato fino al mattino, alcuni focolai rimanevano e quindi dovevamo mantenere costantemente il personale pronto a spegnare eventuali rinvigorimenti del fuoco» ha aggiunto il comandante provinciale dei vigili del fuoco, Adriano De Acutis. «Ma un incendio non si produce per autocombustione, se consideriamo anche il freddo che faceva. Secondo me una causa esterna deve esserci stata, ma aspettiamo l’esito dell’inchiesta» si sfoga un medico.
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Il Messaggero