'Ndrangheta a Roma, Vincenzo Alvaro intercettato: «Troviamo un romeno, gli intestiamo la società»

Le minacce della figlia di Alvaro a pm e amministratori: «Stanotte brucio tutto»

'Ndrangheta a Roma, le intercettazioni: «Troviamo un romeno, gli intestiamo la società»
«Bisogna trovare un polacco, un rumeno, uno zingaro a cui regalare 500 o 1000 euro a cui intestare sia le quote sociali e le cose e le mura della società»....

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«Bisogna trovare un polacco, un rumeno, uno zingaro a cui regalare 500 o 1000 euro a cui intestare sia le quote sociali e le cose e le mura della società». Così, intercettato dalla Dia, parlava Vincenzo Alvaro, ritenuto dai magistrati della Dda di Roma insieme ad Antonio Carzio, al vertice della “filiale” della Ndrangheta nella Capitale. E svelava quale fosse il trucco per aggirare la minaccia incombente delle misure di prevenzione e dei sequestri: trovare prestanome. Cedere le società e continuare a gestirle. Anche far finta di fallire.

LA PRESCRIZIONE
Contavano sulla prescrizione gli indagati e sul fatto che, per intestazione fittizia di beni, non si viene arrestati: «Poi tutte queste cose che dicono e ti attaccano sono tutte minchiate - continua Alvaro - io ho fatto un fallimento di un miliardo e mezzo e ho la bancarotta fraudolenta, mi hanno dato tipo vari articolo 7 (aggravante mafiosa ndr) e poi mi hanno arrestato, mi hanno condannato e ancora devo fare appello, vedi tu, è andato in prescrizione, le prescrizioni vanno al doppio dette cose».

BRUCIO IL LOCALE
A finire in manette su richiesta degli aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò è anche Carmela Alvaro, “boss” in gonnella, figlia di Vincenzo Alvaro, che insieme a Besim Letniku, suo impiegato, minacciava i fiduciari dell’amministratore giudiziario dopo gli arresti e i sequestri dello scorso maggio. Fino allo scorso 22 ottobre. In quattro hanno rinunciato all’incarico. Terrorizzati. Uno dei fiduciari delegati dallo Stato è anche stato sequestrato per un quarto d’ora in un locale della Tiburtina: «Chiama quello stronzo di m...di Oliva (Enrico Oliva amministratore giudiziario ndr) e dì venire qua, chiamalo!». E in un’altra occasione minacciava un altro fiduciario: «Stanotte vengo e lo brucio, se non posso rimanere io non ci deve stare nessuno...lo brucio questo locale e lo dico così se domattina lo trovate bruciato sapete che sono stata io». E ancora: «Sei un infame servo dello Stato...pezzo di me...», diceva all’amministratore giudiziario e agli uomini della Dia arrivati nel locale sotto sequestro.

PASTINA PER TUTTI


Ma i locali non servivano soltanto per riciclare il denaro. Erano necessari anche per dar lavoro agli affiliati, tornati in libertà che avrebbero consentito di mantenere il controllo delle attività economiche. Così Giuseppe Penna, uno deglòi arrestati, intercettato, dice a Domenico Alvaro: «Mi piace l’amicizia che è così...e non sono andato da tutti i forestieri, sto aspettando...perché se la cosa è positiva e questa è positiva, che come sono messe le situazioni qua c’è un poco di pastina per tutti. I carcerati ringraziando a dio...se riusciamo a farli entrare qua li manteniamo piano piano».


 

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Il Messaggero