Rieti, tavoli all’aperto impossibili: la rabbia dei locali esclusi

Ristorante Tito (foto Meloccaro)
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RIETI - Confusione, spaesamento, rabbia e rassegnazione. Sono i sentimenti e le percezioni che si attorcigliano come un groviglio confuso nell’animo di quei ristoratori che, nonostante il via libera ricevuto lunedì scorso alla possibilità di servire i clienti ai tavoli esterni, sono comunque costretti a lasciare spente le luci e fuori servizio le cucine. E non certo per qualche mero capriccio ideologico nei confronti delle nuove misure adottate per bar e ristoranti, ma semplicemente perché loro - che vorrebbero lavorare esattamente come tanti altri colleghi, in questa fase, più fortunati - non ne hanno la possibilità, non avendo mai avuto a disposizione uno spazio esterno dove poter posizionare i tavoli.

Lo scenario
Oltre a qualche timido sorriso da parte dei ristoratori che da lunedì hanno ricominciato ad allestire i tavoli all’esterno e i primi clienti che non si sono fatti attendere, l’altra faccia delle nuove misure in vigore fino al prossimo primo giugno è invece quella del limbo nel quale si trovano costretti coloro che non riescono più a lavorare ormai da metà marzo, tra zona rossa e arancione, e che non potranno farlo per almeno un altro mese. A Rieti, via San Rufo ne è un esempio lampante, con due storici locali come “Antonietta” e “Tito” costretti a dover tenere le braccia incrociate: «Siamo veramente confusi: prima sostenevano che era più sicuro restare al chiuso, ora invece all’aperto - commentano da “Antonietta” (nella foto in alto), Stefania Michelangeli e Guido Brucchietti. - L’occupazione del suolo pubblico? Non la chiederemo: dovremmo portare i piatti in giro per via San Rufo, con il rischio che magari vi finisca dentro la deiezione di un piccione appollaiato sul tetto. Così saremmo al paradosso: dalla massima prevenzione sanitaria alla totale noncuranza. L’asporto? Il nostro genere di cucina non lo consente, perché il cibo rischierebbe di arrivare a casa ormai sfatto. Siamo davvero sfiancati - concludono Stefania e Guido. - Come locale non abbiamo ancora ricevuto i ristori del Decreto Sostegni e le nostre dipendenti sono ferme alla cassa integrazione di gennaio. Non vediamo prospettive e ci sembra che non interessi più a nessuno delle piccole aziende dell’Horeca». Due passi più indietro, anche “Tito” non ha alcuna intenzione di fare richiesta per il suolo pubblico, pure se largamente concesso dal Comune a coloro che ne facciano richiesta: «Io non posso aprire, me lo impongono gli spazi fisici del mio locale e non ho alternative - sbotta il gestore Giovanni Coletti. - E la possibilità pratica di poter occupare il suolo pubblico non c’è: via San Rufo è stretta e in pendenza. Dove ci metteremmo? In via Roma, davanti ad un negozio chiuso, con una pedana che compensa la pendenza, andando avanti e indietro con i piatti? Non so quanto la Asl sarebbe felice di questa soluzione. È stata una scelta vergognosa consentire di poter lavorare soltanto a chi ha spazi esterni - commenta Coletti. - Sarebbe invece stato sufficiente aumentare le distanze all’interno dei locali. Noi saremmo stati disposti anche a dimezzarle ulteriormente dopo quanto già attuato in seguito ai Dpcm dello scorso anno: almeno saremmo riusciti a lavorare un po’».

Temperature rigide


La maggior parte dei locali che in città non hanno la possibilità di allargarsi all’aperto si concentra soprattutto in centro storico. Un’area, come noto, caratterizzata spesso da vicoli e strade comunque strette e con locali storici che da sempre, viste anche le temperature rigide presenti per gran parte dell’anno nel Reatino, lavorano in locali molto curati e al chiuso. “Da Checco al Calice d’Oro”, volendo, in via Marchetti, avrebbe la possibilità di posizionare pochi tavoli nel vicolo esterno. Ma ad aprile sono le temperature a sconsigliarlo: «Anche se non fosse esistito il Covid, di questi tempi non avrei mai messo i tavoli fuori, con il rischio di una giornata come quella di oggi (ieri, ndr) nella quale è prevista pioggia - commenta Francesco Marinetti, gestore dell’Hotel Miramonti, collegato al ristorante. - Noi, fortunatamente, ce la stiamo cavando grazie ai pasti serviti ai clienti dell’albergo, ma a questo punto sorge un dubbio: perché nell’ultima zona gialla si poteva mangiare anche dentro e ora no? Se tutto ciò che abbiamo fatto in passato era sbagliato, allora vuol dire che siamo stati esposti al rischio di contagio». Tra spazi esterni ristretti e temperature ancora in parte rigide e possibilità di pioggia, si preannuncia un mese di maggio ancora di grandi sacrifici.

 

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Il Messaggero