Rieti, coronavirus, dalla palla ovale all'emergenza, per l'infermiere reatino Gianluca Pitotti una vita in "prima linea"

Gianluca Pitotti in corsia
RIETI - Se hai 40 anni e più dei due terzi della tua vita spesi in ruoli che ti portano a stare in "prima linea", sicuramente sai cosa vuol dire guardare...

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RIETI - Se hai 40 anni e più dei due terzi della tua vita spesi in ruoli che ti portano a stare in "prima linea", sicuramente sai cosa vuol dire guardare "l'avversario" negli occhi ed affrontarlo a viso aperto. Con rispetto, ma senza paura in campo contro l'emergenza coronavirus.


La storia
Ne sa qualcosa Gianluca Pitotti, l'infermiere reatino che dopo 20 anni di rugby con la maglia degli Arieti addosso («avevo 13 anni la prima volta che agguantai una palla ovale», ci confida) come prima linea del quindici amarantoceleste, ha scelto di dedicarsi agli altri. Come? Riprendendo gli studi a 30 anni suonati - non un esercizio semplice - per laurearsi in scienze infermieristiche seguendon le orme di mamma Luigina.
«Inizialmente facevo tutt'altro - racconta Gianluca - avevo trovato lavoro in un'azienda del nucleo industriale (la Eda, ndr) poi in me è scattata una molla e ho scelto la carriera infermieristica».

Gli studi, il tirocinio, le prime esperienze: Rieti, Fiumicino, il soccorso elicotteristico, poi la chiamata dell'Ospedale Generale Vannini, dove lavora ormai da diversi anni e dove da qualche settimana opera nell'area CoVid-19 allestita dal nosocomio capitolino per prendersi cura dei soggetti positivi al coronavirus. 
«Sì, stiamo di nuovo in prima linea - spiega l'infermiere - in un reparto delicatissimo, creato dal direttore sanitario dell'Ospedale reclutando chi, all'interno dei vari settori, aveva già acquisito un'esperienza tale da poter tornare utile anche in questo ambito. Io prima di scendere in area CoVid-19 ho lavorato in pronto soccorso e in cardiologia, ma quello che vedo da un mese a questa parte è davvero tutt'altro».

Gianluca è un pendolare, ogni mattina lascia Rieti per raggiungere la Capitale dove deve affrontare l'emergenza. «Nel nostro ospedale fortunatamente, non si sono registrati casi di morte per CoVid-19 - spiega - ma lo dico davvero a bassa voce e con le dita incrociate perché questa è una "bestia" ancora da domare. Nel reparto dove mi trovo, somministriamo la terapia antibiotica e garantiamo l'ossigenazione dei pazienti con i caschetti: c'è da trottare nell'arco delle ore del turno, però debbo dire che lo staff è davvero eccellente ed il tempo passa velocemente».

Ma come tanti altri operatori sanitari, quando finisce il suo turno di lavoro e riprende la strada di casa, Gianluca preferisce isolarsi dagli affetti familiari, anteponendo la salvaguardia della salute dei genitori, della fidanzata e degli amici, a tutto il resto.


«Preferisco così - dice in conclusione - perché nonostante tutti i dispositivi di sicurezza che indosso ogni qualvolta entro in reparto, in questa fase è meglio fare prevenzione. Paura del contagio? Sicuramente la percentuale di rischio è più elevata rispetto alla normalità, ma insieme ai miei colleghi cerchiamo di attenerci alle regole per ridurre al minimo le possibilità. Ma essere in prima linea vuol dire anche questo: fiero di quello che faccio, non si molla». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero