Diventa molto più facile staccare la spina ai pazienti che versano in stato vegetativo nel Regno Unito. Lo ha stabilito la Corte suprema britannica con una sentenza...
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Nell'annunciare la sentenza, il magistrato Lady Black, ha sottolineato che non si incorre in una violazione della Convenzione per i diritti umani, nello staccare la spina, qualora le condizioni del paziente appaiono irreversibili dal punto di visto medico e non ci siano quindi prospettive di una ripresa di coscienza. Il caso che ha permesso questa decisione è quello di un 52enne colpito da un grave attacco di cuore, con conseguente danno cerebrale. L'uomo, di cui la stampa del Regno non rivela il nome per motivi di riservatezza, dallo scorso giugno si trovava in stato vegetativo. La sua famiglia, di fronte ai lunghi tempi di attesa per l'autorizzazione a staccare le macchine per tenerlo in vita, si è quindi rivolta alla giustizia del Regno.
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Nel frattempo l'uomo è deceduto ma il procedimento è andato avanti e ora la vittoria ottenuta dai suoi legali potrebbe cambiare la sorte di migliaia di persone che si trovano in condizioni irreversibili negli ospedali e nelle case di cura del Paese. Si parla di 1500 nuovi casi ogni anno solo in Inghilterra e Galles, rispetto ai quali ora si potrebbe utilizzare il pronunciamento della Corte Suprema. Se le associazioni in favore del fine vita esultano, quelle anti-eutanasia sono però insorte. Il dottor Peter Saunders, direttore del gruppo contro la morte assistita 'Care Not Killing', si è detto «molto preoccupato e deluso per la decisione della Corte suprema», in quanto così i «pazienti saranno di fatto affamati e disidratati fino alla morte». Immediata la risposta dell'associazione 'Compassion in Dying', secondo cui, invece, la sentenza permetterà alle persone più vicine al malato - quindi i parenti e il suo team medico - di prendere la decisione nel migliore dei modi, anche se si dovesse trattare di quella più difficile. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero