Regeni, nuove prove contro i poliziotti egiziani

Regeni, nuove prove contro i poliziotti egiziani
C'è almeno una traccia che potrebbe essere decisiva negli atti che la procura del Cairo ha inviato ai magistrati romani lunedì scorso e che sono ancora al vaglio...

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C'è almeno una traccia che potrebbe essere decisiva negli atti che la procura del Cairo ha inviato ai magistrati romani lunedì scorso e che sono ancora al vaglio di traduttori e investigatori del Ros. Un dettaglio che potrebbe essere decisivo per inchiodare gli agenti della Sicurezza nazionale alle proprie responsabilità: nei tabulati telefonici risultano contatti insistenti tra i due gruppi di poliziotti che, in fasi diverse, hanno avuto un ruolo nella storia della morte di Giulio Regeni. Telefonate che si fanno intense proprio nelle ore della sua scomparsa e che collegano al gruppo incaricato di seguire il giovane ricercatore italiano al capo degli agenti che, un mese dopo la sua morte, a marzo, in un blitz per rintracciare i presunti rapinatori, «trova», guarda caso, proprio i documenti di Giulio.


IL COLONNELLO
È questa la traccia su cui lavorano da mesi, e tanto più ora, il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone e il suo aggiunto Sergio Colaiocco: i contatti tra i poliziotti che hanno pedinato Regeni fino a pochi giorni prima della sua scomparsa e quelli che poi troveranno i documenti che aveva con sé quando sparì nel nulla. I tabulati sono il primo elemento di prova concreta per riannodare i fili di quella che ha tutti gli elementi per essere una strategia precisa. Tanto più che le telefonate sarebbero state proprio con il colonnello Mahmoud al Hendy, quello che anche il consulente della famiglia Regeni, in un'intervista di ieri al Corriere della sera, identifica come colui «che mise i documenti di Giulio nella casa del presunto capo dei gangster accusati di aver rapito il ragazzo». Proprio ai rapporti tra i poliziotti del blitz di marzo e i cinque agenti che da dicembre a gennaio hanno seguito Regeni sono dedicate le domande poste dalla procura di Roma ai dieci poliziotti interrogati dagli inquirenti del Cairo (i loro verbali sono stati trasmessi lunedì a piazzale Clodio).

La famiglia Regeni teme che dietro i nuovi documenti si nasconda l'ennesimo depistaggio. Proprio per questo, il padre del ragazzo assassinato ha annunciato che il prossimo 3 ottobre torneranno in Egitto per provare a parlare di persona con il procuratore del Cairo, Sadek, che in un incontro a Roma aveva assicurato il massimo impegno nel trovare gli autori dell'assassinio e che, allo stesso tempo, aveva garantito alla procura di piazzale Clodio di aver concentrato tutti gli accertamenti sugli agenti identificati da tempo come coloro che dovevano «indagare» sul ragazzo.

LE POLEMICHE

Intanto, non si ferma la polemica politica dopo il reportage del New York Times che parla di informazioni passate dall'intelligence americana a quella italiana sul ruolo degli apparati di sicurezza egiziani. Se palazzo Chigi ha smentito la consegna di alcun genere di documento, le opposizioni chiedono comunque che il governo riferisca in tempi rapidi in parlamento. La data identificata, quella del prossimo 4 settembre, viene considerata troppo lontana, tanto più che l'informativa sarà affidata solo alle commissioni Esteri di Camera e Senato. È la stessa presidente della Camera, Laura Boldrini, a chiedere di accelerare i tempi: «Non solo la sua famiglia ma un Paese intero ha il diritto di sapere - sostiene - che la ricerca della verità sull'uccisione di un giovane cittadino italiano rimarrà imperativo fondamentale per le nostre istituzioni e non sarà piegata a nessun'altra ragione».


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Il Messaggero