Parità di genere, migliorano gli stipendi delle donne nella fascia 20-30 anni

Parità di genere, migliorano gli stipendi delle donne nella fascia 20-30 anni
La parità di genere, da molti invocata e ancora lontana dall’essere raggiunta, viene plasticamente rappresentata dal divario fra gli stipendi maschili e quelli femminili....

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La parità di genere, da molti invocata e ancora lontana dall’essere raggiunta, viene plasticamente rappresentata dal divario fra gli stipendi maschili e quelli femminili. Secondo l’ultima ricerca americana, infatti, le donne nella fascia d’età 20-30 hanno visto migliorare la propria condizione retributiva rispetto ai colleghi, riducendo il gap che le separava da questi ultimi. Ma, al contempo, per le donne sulla trentina e oltre la retribuzione media viene letteralmente sovrastata da quella maschile. A dirlo è la Press Association, che ha svolto un’indagine comparativa sugli stipendi americani nel periodo 2006-2013, utilizzando i dati forniti dall’Istituto statistico nazionale.




Fissando, ad esempio, l’inizio dell’attività lavorativa a 22 anni e la fine intorno ai 29, una donna statunitense guadagna in media mille dollari in più durante tutto il periodo rispetto a un collega. Ma, a dispetto di questo grande passo avanti compiuto in sette anni dalle lavoratrici ventenni, la situazione cambia per coloro che entrano nel decennio 30-40: un uomo sulla trentina nel 2006, infatti, è arrivato a guadagnare 8,775 dollari in più rispetto a una donna della stessa età nel 2013. Ann Pickering, direttore delle risorse umane in O2, sottolinea che la ricerca americana ha messo in luce il divario ancora esistente nel mondo del lavoro tra uomini e donne e che è ancora lunga la strada per raggiungere la piena parità.



«Mentre le donne guadagnano leggermente di più rispetto agli uomini intorno ai vent’anni, continuano ad essere superate dai colleghi andando avanti nell’età lavorativa. E la ragione è semplice: quando si tratta di raggiungere posizioni di rilievo ben pagate, le donne soccombono davanti agli uomini». Poi, centrando il cuore del problema, la manager chiede provocatoriamente: «Se non ricoprono le stesse mansioni dei maschi, come possono essere remunerate allo stesso modo?».



A questo proposito, Sam Smethers, a capo di Fawcett Society (organizzazione che si batte per l’uguaglianza di genere), propone di offrire più ruoli di vertice alle donne su basi di part-time o di contratti ripartiti. «A meno che non ci sia una buona ragione per farlo, questa dovrebbe essere la regola in una società» commenta Smethers. E aggiunge: «Purtroppo è vero il contrario: una volta arrivati a un certo livello, si ottiene un contratto a tempo pieno, cosa che esclude molte donne da mansioni che sarebbero in grado di svolgere perfettamente».



Tutto nero, insomma? Guardando all’Italia, forse verrebbe da dire che da noi è ancora peggio. E invece, stando ai dati Eurostat diffusi lo scorso marzo, il nostro paese risulta meno discriminatorio nella differenza retributiva uomo-donna rispetto a stati con un welfare più efficiente e dove la parità di genere gode di miglior salute. A fronte di una media UE del 16,4 per cento, infatti, l’Italia – con il suo 5,5 per cento – supera stati come la Francia (15,2), la Germania (21,6) e il Regno Unito (19,7). Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero