Lo scenario internazionale/ Ma l’onda nera è un’invenzione che non regge

Lo scenario internazionale/ Ma l’onda nera è un’invenzione che non regge
Pare che sia in arrivo una “onda nera”, ma non pensate agli scarichi delle petroliere in mare. L’onda sarebbe quella del populismo, dell’autoritarismo. ...

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Pare che sia in arrivo una “onda nera”, ma non pensate agli scarichi delle petroliere in mare. L’onda sarebbe quella del populismo, dell’autoritarismo.


Addirittura del fascismo di Mussolini e di Hitler, come ripetevano ossessivamente numerosi ospiti della Cnn nel commentare la convention repubblicana. E se persino giornali autorevoli come il “Washington Post” evocano il dark speech di Trump, figurarsi da noi, dove per vent’anni si è additato in un libertario-libertino come Berlusconi il “cavaliere nero”. Se però gli osservatori si emancipassero dall’emozione meglio condivisa del nostro tempo, la paura (genuina o simulata), aiuterebbero i cittadini a capire meglio.

Non esiste nessun’onda e se anche ci fosse non avrebbe nulla a che vedere con l’autoritarismo. Trump, Le Pen, i brexiter Niels Farage e Boris Johnson, l’austriaco Norbert Hofer, per citare solo alcune delle figure che agitano i sonni di molti, hanno conquistato il loro ruolo non attraverso la violenza politica, come i movimenti fascisti del secolo scorso, ma partecipando alle regole del gioco democratico e liberale, raccogliendo voti, proponendo idee. A molti - a cominciare da chi scrive - queste non piacciono perché poco funzionali, ma sono idee con cui confrontarsi, gridate o meno che siano. Non si vede poi nessun’onda perché tutti questi uomini (e donne), più che populisti vanno definiti per quel che sono, cioè “nazionalisti”. E i nazionalisti hanno sempre problemi ad accordarsi con quelli degli altri Paesi. Hofer, che a settembre potrebbe vincere il replay dell’elezione presidenziale, per esempio rivuole il sud Tirolo, proposta che i suoi fan Meloni e Salvini immaginiamo non condividano. E anche per questo che i nazionalisti hanno sempre avuto difficoltà nel creare un gruppo unico al Parlamento europeo, come invece i popolari, i socialisti e i liberali.

Non ci travolgerà nessuna onda, poi, perché tutti questi movimenti incarnano la voglia di nazione del nostro tempo, sentimento reale e fondato, che ognuno interpreta però secondo la tradizione politica del proprio Paese. Quella di Trump non ha Mussolini nel suo bagaglio e per certi aspetti riprende un sentire che era del partito repubblicano della prima metà del Novecento, poi abbandonato da Nixon e soprattutto da Reagan. Johnson non è certo il nipotino di Sir Oswald Mosley, il capo del fascismo inglese negli anni Trenta, ma l’erede di una tradizione del conservatorismo inglese e del thatcherismo, sempre critico nei confronti non dell’Europa ma della Ue. Marine Le Pen è ancora tutt’altra cosa, incarnazione del nazionalismo francese, in quanto tale al di là della droite e della gauche - e anzi il suo programma economico è più vicino al socialismo che al liberalismo. Oggi elogia Trump, ma il Fn da molto tempo è un partito fortemente antiamericano, e non c’è da credere che diventerà filo stelle e strisce nel caso Trump diventasse presidente. E, last but not least, non c’è un’onda perché questi leader hanno un futuro diverso di fronte a loro.
 

Trump potrebbe anche vincere, obiettivo assai più difficile per Le Pen: arriverà probabilmente al secondo turno ma, in ragione della legge del ballottaggio, gli elettori della sinistra, una volta escluso il loro candidato, si asterranno o voteranno per quello dei conservatori. Quanto a Johnson, a guidare il Regno Unito ci sarebbe potuto andare: non ha voluto. Segno evidente che questi nazionalisti sono assai efficaci nel raccogliere voti per distruggere un sistema, ma non sembrano avere le idee chiare su come costruirne uno nuovo. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero