Sigarette elettroniche all'hashish o alla marijuana, costruite smontando vaporizzatori portatili e fumate in una scuola di Torino. È quanto hanno scoperto i carabinieri...
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Un giovane, nell'ambito dell'inchiesta, è finito agli arresti domiciliari; disposti anche due obblighi di firma, due obblighi di dimora, due collocamenti in comunità. L'utilizzo da parte dei carabinieri di unità cinofile ha permesso anche di sequestrare dosi, semi e piante di sostanze stupefacenti, oltre a tutto il necessario per confezionare la droga.
«Un'insegnante è arrivata da me e mi ha detto di avere visto un ragazzo di prima che sventolava una bustina di droga in classe: la presentava ai compagni come se fosse una brioche... A quel punto ho deciso di dire basta», racconta Claudia Torta, il dirigente scolastico dell'Istituto alberghiero Colombatto di Torino al centro del caso.
La maggior parte dei ragazzi coinvolti nell'inchiesta risiede a Vaie, un paesino della Valle di Susa in provincia di Torino. Nel corso delle perquisizioni, i militari dell'Arma hanno sequestrato a casa di un ragazzo da poco maggiorenne un armadio adibito a serra per la coltivazione della marijuana. Lo spaccio a scuola, ma anche alla stazione ferroviaria del paese, era su ordinazione. Per mettersi d'accordo sulla quantità della droga da consegnare era stato inventato un vero e proprio codice. «Quest'inchiesta - conclude la preside - è un grande aiuto alla scuola. Ho ritenuto opportuno procedere in questa direzione per tutelare i ragazzi e ritengo fondamentale continuare così».
«Lo spaccio all'interno delle scuole è un fenomeno che va fermato», ha detto il procuratore minorile di Torino, Annamaria Baldelli, a conclusione dell'inchiesta. «Insieme alla famiglia - ha proseguito il magistrato - la scuola è l'agenzia più importante nella costruzione dell'educazione dell'essere umano. Bisogna prestare particolare attenzione a fenomeni che devono essere fermati e lo spaccio è tra questi. Le scuole che fingono che il problema non esista, sbagliano: non affrontare questi problemi significa aggravarli ulteriormente». Secondo Baldelli, «nessuno ha soluzioni preconfezionate, ma se il problema viene alla luce è possibile che si impostino delle soluzioni. La sfida - ha concluso - è costruire modalità di intervento personalizzate». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero