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È una domanda ricorrente in queste ore tra le fila della maggioranza. Come è nato il libro di Roberto Vannacci, il pluridecorato generale dell'esercito finito nella bufera per aver raccontato in trecento pagine il suo "Mondo al contrario" sulle minoranze, gay, migranti, stranieri? E dove può portare il clamore mediatico, e ora politico, nato intorno al caso dell'estate? Mentre il governo prova a mettere fine alle polemiche - ieri la premier Giorgia Meloni ha sentito il ministro della Difesa Guido Crosetto - tiene banco il dibattito sul futuro del generale. Vittorio Sgarbi, uno poco avvezzo a bon-ton e giri di parole, si è fatto un'idea: «Matteo Salvini ha detto che si riconosce nei valori del libro scritto da Vannacci. E il modo per ribadirlo potrebbe essere candidarlo alle Europee».
LA TENTAZIONE
Già, le Europee. Mancano nove mesi, un'era geologica. Eppure sono già puntati a quel traguardo gli occhi del "governo dei patrioti" che anche sulla partita in Ue scommette il suo futuro. Che Vannacci, abituato al campo di battaglia, abbia fatto un pensiero alla discesa in campo politico? Il generale smentisce i rumors che iniziano a circolare nel centrodestra. Su un libro-manifesto, quello auto-pubblicato dal militare, nato per spianare la strada a una carriera da europarlamentare. Sui tentativi di sondare il terreno nei mesi scorsi. Nulla di vero, taglia corto lui, «non entro in politica». Anche se lui stesso ammette: «Oltre a Salvini, sono stato cercato da diversi politici ma non dirò da chi».
Un pensiero, su di lui, lo ha fatto la Lega, dove circola la tentazione di trovare un posto per Vannacci tra le affollate liste per le urne europee, se il generale accettasse le lusinghe.
LA LINEA MELONI
Non si esprime per il momento Giorgia Meloni. Dalla masseria in Puglia dove sta trascorrendo gli ultimi giorni di vacanze la premier ha seguito da vicino il caso Vannacci, di cui ha discusso in un recente pranzo con Salvini. Un indizio sul "Meloni pensiero" sulla vicenda del momento si trova nelle uscite di alcuni dei colonnelli del cerchio stretto della leader di FdI. I quali, è il caso di Giovanni Donzelli, a capo dell'organizzazione del partito, hanno dapprima condannato la «censura della sinistra» contro il generale. Linea peraltro ribadita in questi giorni nel mattinale che detta la linea agli eletti.
Finché ieri il partito non ha chiesto un cambio di passo. Con Tommaso Foti, capogruppo di FdI, abituato a sondare Palazzo Chigi prima di prendere posizione, che si è schierato con Crosetto: «Chi rappresenta lo Stato deve sentire il peso della responsabilità che porta», ha detto di Vannacci. Nelle scorse ore Meloni si è sentita al telefono con il ministro della Difesa e consigliere di antica data. «Non scarico nessuno», è il refrain della premier per smentire il presunto gelo calato con il co-fondatore del partito. Insieme alla richiesta di abbassare i toni su un caso politico da ricondurre il prima possibile nel recinto istituzionale da cui è uscito.
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