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Il non votante milita nel primo, anzi primissimo, partito di Roma. Quello degli astensionisti che raccoglie quasi il 70% in certe periferie. «La vede questa panchina lurida di ogni cosa? Riesce a leggere che cosa c'è scritto?». C'è scritto con la vernice blu: «Lavame». «Per questo - dice Roberta, di Tor Bella Monaca, donna delle pulizie ma avrebbe voluto fare la parrucchiera, 23 anni e un figlio - non voto io e non votano tutti quelli di qui. Perché la politica c'è solo nei telegiornali, e per il resto non fa niente per farci vivere meglio, senza sporcizia, senza tossici e senza paura. Non si preoccupa di nessuno e si dimentica di noi». La panchina «lavame» è in via Amico Aspertini, sotto i palazzoni sbrecciati di Tor Bella Monaca, dove il 68% - record in questo tornata amministrativa nei quartieri romani - alle urne non è andato e appartiene al partito di Roberta (che non vuole dire come si chiama di cognome). Trovare un elettore da queste parti è impresa titanica. E' ancora peggio che a Ostia, altra roccaforte del non voto con il 64% di astenuti, dove c'è un cameriere cinquantenne, Dino Cimatti, e dice: «Perché non voto? Semplicemente perché non mi fido». E pensare che nelle vie di Ostia ancora si vedono appesi ai muri i poster con Michetti che dice: «Vince chi vota». Ma ha vinto anche chi non vota.
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AI CASSONETTI
Questi del partitissimo del no all'indomani del ballottaggio si affacciano timidi, silenziosi e in ordine sparso, con le buste dell'immondizia tra le mani, verso i cassonetti di via dell'Archeologia a Tor Bella Monaca che sono discariche a cielo aperto sormontate da materassi sfondati e altre schifezze non raccolte. «Non sappiamo dove buttare la spazzatura perché i recipienti sono stracolmi. Va bene come spiegazione per il non voto?».
Altri toni e ragionamenti a piazza Anco Marzio, a Ostia. C'è il proprietario di un bistrot del mare, si chiama Roberto Papi, spiega: «Non ho votato perché non c'era partita. Quando la sinistra si mette tutta insieme è inutile giocare». Un gruppo di ragazzi va verso la stazione, e uno di loro - Andrea, che lavora per le discoteche - si ferma e la vede così: «Noi giovani siamo quelli che votano meno degli altri. I politici sembrano quei genitori che si disinteressano dei problemi dei figli e poi pretendono affetto». E un altro: «Che cosa voto a fare un sindaco che dice A e poi fa B? Perché dovremmo votare questa politica che ci rifiuta e ci abbandona?».
Di nuovo a Tor Bella Monaca, a due passi dalla panchina «lavame». Ancora gente vestita in tuta («Ma non siamo carcerati», specificano). Rosa, davanti al bar Black and White, che dentro è pulitissimo, fa la badante a Roma Nord, poi torna la sera quaggiù e «mi viene lo sconforto tra sporcizia e paura. Tornerò a votare quando quelli lì tratteranno i nostri quartieri come trattano casa loro». E questi sono messaggi sparsi che, nella loro semplicità pop, il nuovo ceto politico-amministrativo dovrebbe ascoltare e magari lo farà.
SOTTO LA CENERE
Al Black and White, intorno al bancone, tra muratori e casalinghe, l'umore è questo: «Non votiamo perché ci offendono sempre, sia i politici sia le televisioni. Dicono che Tor Bella Monaca è un inferno e che ci sono solo spacciatori, tossici, ladri. Ci danno la targa dei peggiori e poi vogliono pure il nostro consenso. Ma votatevi da soli se siete capaci!». La rabbia ancora non c'è, ma sotto la cenere di queste elezioni qualcosa brucia. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero