Manovra, misure ai raggi X/ Chi vince e chi perde sulle tasse

Manovra, misure ai raggi X/ Chi vince e chi perde sulle tasse
In queste settimane frenetiche per l’approvazione dei documenti di bilancio, il mondo della politica trova molto interessante interrogarsi su chi abbia vinto tra Di Maio e...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
159,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
79,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA
ANNUALE
79,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
159,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 6 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
In queste settimane frenetiche per l’approvazione dei documenti di bilancio, il mondo della politica trova molto interessante interrogarsi su chi abbia vinto tra Di Maio e Salvini. È un gioco a tratti divertente, che fanno i giornali per i propri lettori, gli stessi partiti di governo per far dimenticare le promesse mancate e rinsaldare il consenso con la propria base elettorale, i partiti di opposizione a corto di altri argomenti per cercare di creare una crepa nella maggioranza. 


Ma è un gioco di palazzo, il cui esito potrebbe certo avere ripercussioni politiche ma la cui dinamica non influenza la vita dei cittadini. Ai quali, davvero, non interessa se dalla dialettica ne esca più forte la Lega o il Movimento Cinque Stelle, ma se l’anno prossimo dovranno pagare più o meno tasse, se avranno a disposizione più o meno servizi, se fare la spesa costerà di più oppure no. La manovra di bilancio crea sempre vincitori e vinti: una quota della popolazione, più o meno consistente, e più o meno coscientemente, perderà qualche beneficio; un’altra quota invece ne guadagnerà. 

Chi sono dunque i vincitori e i vinti che emergerebbero dalla Legge di bilancio a breve in discussione al Parlamento? Cominciamo con le cose semplici e più evidenti. Vincono le generazioni correnti e perdono le generazioni future. Ma ormai non viene nemmeno più voglia di considerare questa una notizia: settant’anni di Repubblica, democrazia e suffragio universale ci hanno insegnato che l’orizzonte della politica resta sempre il breve periodo, l’unico interessa è il tornaconto elettorale. Inutile dunque stupirsi per l’ennesimo passo indietro in campo previdenziale e la promessa di un turn over cui nessuno crede davvero. Inutile stupirsi dell’ennesimo ricorso al deficit per finanziare principalmente spesa corrente: reddito di cittadinanza (fino a 10 miliardi) e “quota 100” (7 miliardi) sono provvedimenti che si caratterizzano come mance elettorali e assistenziali, un finanziamento di consumo presente con l’erosione di consumo futuro.

Troppo azzardata appare la scommessa che siano i consumi e non gli investimenti (fermi a soli 3,5 miliardi aggiuntivi) a stimolare l’attività economica. Solo il Governo italiano prevede che una crescita di Pil di oltre l’1,5% nei prossimi anni, quando tutti gli altri osservatori indipendenti (in primis l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, che infatti ha dato parere negativo) si fermano all’1,1%. 

Troppo ottimistiche le stime di riduzione del debito, di oltre 4 punti percentuali nel triennio 2019-2021, senza che emerga un’azione di decisa riduzione del debito, perlomeno straordinaria, o un regolare programma regolare di revisione della spesa. Anzi, l’unica certezza è la crescita della spesa per interessi dello 0,1% nel 2019. 

La strategia di riduzione dell’evasione fiscale, che sottrae ogni anni decine di miliardi all’erario e che anche questa volta viene realizzata con un condono che serve solo a creare un po’ di consenso per la Lega e, a conti fatti, nemmeno troppa cassa (sei miliardi circa in cinque anni, secondo le prime stime). E che dire dell’usuale promessa sulla riduzione delle imposte? La pressione fiscale non cala e resta ferma al 41,8% anche nel 2019. Certo, vale sempre l’argomento usato dai governi precedenti: con la sterilizzazione dell’Iva la pressione fiscale almeno non è aumentata (sarebbe stata del 42,2% nel 2019). Ma comunque l’aumento dell’Iva è ancora una volta solo rimandato e quindi se ne riparla ancora nel 2020.

Ma dov’è allora questo grande cambiamento, annunciato in campagna elettorale, garantito con la formazione del Governo Conte, sbandierato a suon di brindisi dopo l’approvazione del Documento di economia e finanza? Basta davvero il regime di aliquota unica al 15% per una manciata di partite Iva a certificare un’inversione di tendenza rispetto al passato? Perché del resto, se la pressione fiscale non cambia e qualcuno paga di meno, altri dovranno compensare: banche e assicurazioni. Forse a livello di comunicazione politica il tornaconto è anche positivo, salvo poi accorgersi, come ogni bravo studente di economia studia e come ogni cittadino attento sa, che le imposte dai produttori vengono facilmente trasferite sui consumatori finali. 


Resta inoltre da chiarire in che cosa consiste la “razionalizzazione delle spese fiscali”, contenuta in termini di principio tra le risposte alle raccomandazioni dell’Unione europea ma non meglio specificata. Si tratta di tutti quegli sconti legati al pagamento dell’Irpef (deduzione e detrazioni varie) il cui valore aggredibile, a seconda delle stime, si aggira sui 70/80 miliardi di euro. Certo una loro revisione sarebbe davvero utile. Tuttavia, l’effetto distributivo, ancora una volta creerebbe vincitori e vinti: alcune indiscrezioni delle scorse settimane facevano riferimento alla volontà di ridurre lo sconto su spese sanitarie e mutui.
Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero