Domanda, tempistica, e chiaramente, risultati: il voto su Rousseau che dovrà certificare il governo M5S-Pd porta in capo a Luigi Di Maio una serie di problematiche. Non da...
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E non è escluso che un simile concetto sia stato sottolineato dallo stesso Di Maio nel faccia a faccia con Mattarella. Resta il nodo della domanda, oltre a quello della tempistica. In questo senso, se Conte raggiungerà l'obiettivo del governo gialo-rosso, è difficile che nel quesito venga posta la parola Pd: troppo netta, in queste ore, è l'insofferenza di una parte dei militanti per i Dem. Più probabilmente, il capo politico porrà ai suoi iscritti una serie di questioni legate al futuro dell'Italia, accompagnate dall'opportunità che sia il M5S, al governo, a risolverle.
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Ma i malumori nel Movimento non si placano, tra chi ancora rimpiange l'alleanza con la Lega, chi preferisce il ritorno alle urne e chi, invece, vorrebbe maggiore decisione da parte dei vertici nell'alleanza con i Dem.
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Ed è un concetto che viene ribadito a due interlocutori: i Dem, innanzitutto, ma anche la fronda interna. Nell'assemblea congiunta qualche voce discordante non è mancata. Qualcuno ha fatto notare come il voto su Rousseau dovesse essere indetto prima dell'incarico a Conte, come successe nel maggio dell'anno scorso. Qualcun altro ha puntato il dito contro Alessandro Di Battista e i suoi strali anti-Pd. Una successiva assemblea dei gruppi si potrebbe registrare a ridosso dell'eventuale fiducia al nuovo governo e dopo il voto su Rousseau.
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Difficile che il quesito riguardi la squadra del nuovo governo. Anche perché le trattative sono lunghe e non riguarderanno solo MS5 e Pd ma anche le tante anime interne del Movimento. «L'attenzione deve essere sui temi, il resto verrà da sé», avverte Riccardo Ricciardi. Avanzando il messaggio degli ortodossi: prima il programma, poi le poltrone. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero