Roberto Pruzzo: «Ho percorso mille volte quel ponte, ora mi viene soltanto da piangere»

Roberto Pruzzo: «Ho percorso mille volte quel ponte, ora mi viene soltanto da piangere»
È scosso. Profondamente turbato. Roberto Pruzzo, centravanti della Roma del secondo scudetto (1983), genovese di Crocefieschi, fatica addirittura a parlare. La tragedia del...

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È scosso. Profondamente turbato. Roberto Pruzzo, centravanti della Roma del secondo scudetto (1983), genovese di Crocefieschi, fatica addirittura a parlare. La tragedia del cedimento del Ponte Morandi lo ha toccato da vicino. E lo ha sconvolto.


Era a Genova quando è avvenuto il crollo?
«No, ma in trent’anni quel ponte lo avrò percorso migliaia di volte. Ci sono tornato anche mercoledì. Sono voluto andare a vedere cosa era accaduto proprio per rendermi conto da solo. È come vedere un film per poi risvegliarsi di colpo e capire che invece è la realtà».

Percorrendolo ha mai avvertito una sensazione di precarietà?
«Non so se ora entra in gioco anche la suggestione per quello che è accaduto. Però le giuro, io quel ponte lì prima lo attraversavo e meglio stavo. Ma non perché ho avuto mai sentore che potesse accadere qualcosa. Non lo so spiegare ma è così. È una struttura imponente che se la vedi da sotto ti metti paura e quando la percorri ti incute paura lo stesso».

In molti ora parlano di tragedia annunciata.
«Non so che dirle. Questa è una struttura che da anni è sempre attenzionata. Nel senso che non passavi una volta che non stessero facendo dei lavori. E allora da profano ti domandi: devo stare tranquillo perché lo controllano in continuazione oppure mi devo preoccupare perché evidentemente i problemi continuano a persistere e non sono stati risolti?».

Lei conosce qualcuno che era sul ponte nel momento del cedimento?
«Sì, Davide (Capello, portiere del Legino, squadra ligure della provincia di Savona, ndc). L’ho sentito mercoledì e mi ha raccontato quello che ha vissuto. Stava andando verso Genova e all’improvviso è andato giù con la strada. Ha sentito un rumore improvviso, poi non ha capito più nulla. Pioveva tantissimo, avrà fatto una trentina di metri in volo con l’auto che poi s’è incastrata tra le macerie. Non sa nemmeno lui come ha fatto a salvarsi. Mi continuava a ripetere: “È un miracolo Robe’, è un miracolo che sono vivo”».

La città come sta reagendo? 
«La realtà è che siamo tutti sconvolti. A me viene da piangere. C’è sgomento e rabbia per quelle povere persone che hanno perso la vita. E anche incredulità. Perché la città adesso è come se fosse spezzata in due. Ora per arrivare ad uno dei due estremi che il ponte collegava, devi uscire all’aeroporto e fare tutte stradine con mille curve. Già prima era un caos, con un traffico pazzesco. Non oso immaginare quello che accadrà con il ritorno dalle vacanze. Per non parlare di tutto il settore commerciale, con le migliaia di tir che andavano al porto giornalmente. Un disastro, un danno incalcolabile anche per il lavoro, l’economia, il turismo... È una catastrofe».

Condivide che Genoa e Sampdoria abbiano rimandato il debutto in campionato?

«Stavolta sì. E hanno fatto anche bene a non estenderlo alla serie A. Noi genovesi siamo particolari e abbiamo bisogno di raccoglierci, di fermarci ma tra di noi. E farci forza per ripartire. Come? Non lo so».

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Il Messaggero