Antonia Arslan, un libro sulla sua storia famigliare di sopravvissuti al genocidio armeno

Noemi e Levon Arslanian, 1912 (per gentile concessione di Antonia Arslan)
«Non grida, non piange, rimane pietrificata a guardare». Ha un nome poetico, Aghavnì e un cuore frantumato per via di quello che ha visto compiersi nel suo...

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«Non grida, non piange, rimane pietrificata a guardare». Ha un nome poetico, Aghavnì e un cuore frantumato per via di quello che ha visto compiersi nel suo villaggio armeno dai soldati turchi. Tutti sapevano che prima o poi sarebbe accaduto il peggio, che la tragedia immane del genocidio del 1915 si stava materializzando, eppure il destino avanzava implacabile e gli armeni in fondo erano ciechi. La giovane Aghavnì ripercorre quei giorni terrificanti attraverso la penna immaginifica di Antonia Arslan, autrice del best seller «La Masseria delle allodole», il libro sulla sua famiglia armena che la ha consacrata tra i più grandi scrittori italiani contemporanei. Ora riprende quel filo interrotto e ha dato alle stampe un alta opera piena di passione, intitolata «Il destino di Aghavnì» (edizioni Ares, pagine 120, euro 15) in cui fa affiorare da un cassetto pieno di ricordi ingialliti la vita intrecciata e misteriosa di una sua parente sopravvissuta allo sterminio costato la vita a quasi due milioni di cristiani armeni che, all'epoca, vivevano sotto l'Impero Ottomano.

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Dalla fotografia di questa bimbetta, sorella di suo nonno, ritrovata a casa di un cugino che oggi vive in America la Arslan ne ha tratto uno spaccato storico ricco di colpi di scena ma pieno di poesia, dove il dolore che affiora dalle pagine si mescola alla speranza, il coraggio si avvicina alla rinascita e al riscatto del cuore.

 

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Sopravvivere non è mai facile specie se il peso della memoria si trascina nel silenzio fino a immaginare il resto degli eventi. Aghavnì aveva 23 anni quando uscì di casa con i suoi bambini e da allora nessuno seppe più nulla di lei. Eppure l'amore di chi è sopravvissuto allo sterminio ha attraversato oltre un secolo fino a farla rivivere in un immaginario presepe, nel giorno di Natale. «E fu così che il Bambino arrivò, atteso e festeggiato anche nel solitario villaggio sulla montagna». Arslan si concede un resoconto fiabesco a riprova che l'amore per la vita prevale sul buio della notte del cuore e traccia sovente disegni impensabili.

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L'ultima pagina del romanzo storico è incorniciata in un fotografia nella quale appare una coppia di benestanti signori ottocenteschi. Lui ha un paio di vistosi baffoni, veste un completo austero mentre lei indossa un elegante modello di sartoria lungo fino ai piedi e chiuso al collo, secondo la moda di quel periodo. Sotto appare la scritta: Noemi e Levon Arslanian, fratello minore di Aghavnì. 1912.

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Il Messaggero