Regeni, pressioni sul consulente legale della famiglia: indaga la procura di Roma

La Procura di Roma indaga sulle pressioni ricevute al Cairo dal consulente egiziano della famiglia Regeni da personale della National Security di Nasr City. All'ufficio della...

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La Procura di Roma indaga sulle pressioni ricevute al Cairo dal consulente egiziano della famiglia Regeni da personale della National Security di Nasr City. All'ufficio della National Security appartengono alcuni degli ufficiali indagati dai pm capitolini nell'ambito dell'inchiesta sulla morte del ricercatore italiano. 


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«Un segnale davvero inquietante che non fa che rendermi sempre più certo della scelta fatta nelle scorse settimane di interrompere i rapporti con il Parlamento egiziano -ha commentato il presidente della Camera Roberto Fico- La Procura di Roma ha fatto e sta facendo un lavoro straordinario, e ha il supporto di tutte le istituzioni».

L'inchiesta sarà aperta alla luce dell'esposto presentato dall'avvocato Alessandra Ballerini, legale della famiglia di Giulio Regeni e per prima cosa dovrà valutare la sussistenza della competenza della magistratura italiana considerando che i fatti sono avvenuti all'estero e non coinvolgono direttamente cittadini italiani. L'esposto, in base a quanto si apprende, è stato depositato ieri negli uffici della Digos di Genova e arriverà all'attenzione del pm Sergio Colaiocco nei primi giorni della prossima settimana.

Nel documento l'avvocato Ballerini ricostruisce gli eventi delle ultime ore ritenendo «leso il diritto di difesa della famiglia Regeni» e «lo svolgimento dell'attività difensiva nel loro interesse, in particolare in relazione alla situazione processuale, con la recente iscrizione nel registro degli indagati di cinque ufficiali egiziani». Nell'esposto il legale afferma di avere ricevuto il 10 gennaio «una telefonata dal nostro consulente a Il Cario, Mohamed Lotfy, (presidente dell'Ecrf) il quale riferiva di una telefonata dell'ufficio della National Security di Nasr City.

L'interlocutore al telefono - si legge nell'esposto - inizialmente rappresentava che l'oggetto della conversazione sarebbe stata la situazione di Amal Fathy, moglie di Lotfy, attualmente ai domiciliari sotto la sorveglianza della National Security di Giza». Una affermazione che per il penalista appare «non credibile, in quanto l'ufficio della National Security competente per il procedimento a carico della signor Fathy risulta essere quello di Giza e non quello di Nasr City».


La conversazione, quindi, «virava ben presto su differente oggetto e l'interlocutore invitava Lotfy a recarsi negli uffici della National Security di Nasr City per riferire sulle indagini che lo stesso Lotfy sta seguendo e che risultano di competenza di tale ufficio» e cioè sul caso del ricercatore rapito, torturato e ucciso nel 2016 al Cairo. Al rifiuto di Lofty da fare da informatore l'interlocutore ha affermato che «questa decisione avrebbe avuto conseguenze contrarie 'agli interessi suoi e della sua famiglià».
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Il Messaggero