Curavano la latitanza dei boss della 'ndrangheta ma anche un indefinito numero di traffici di consistenti quantitativi di cocaina, marijuana, eroina ed hascisc, oltre a...
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Facendo base nella cava di Gioia Tauro individuata dai carabinieri, i componenti della banda, secondo l'accusa, commerciavano ingenti quantitativi di droga, anche importati dall'estero da paesi come l'Albania, la Grecia, il Marocco, la Spagna e la Turchia per poi rivenderli in Italia, organizzandone l'occultamento, il trasporto e la cessione. In alcune circostanze lo stupefacente veniva nascosto in appositi borsoni collocati in container trasportati tramite nave. Il traffico di droga, secondo gli investigatori, ha rappresentato un'importante fonte di guadagno illecito per gli indagati.
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Nel corso dell'indagine sono stati documentati acquisti e vendite di carichi di sostanza stupefacente, che potevano arrivare fino a 270 kg di hascisc e marijuana per volta, anche importati dall'estero, nonché il sistematico occultamento all'interno della cava di numerosi “pacchi” da mezzo chilo l'uno. Numerose sono risultate anche le armi nella disponibilità degli indagati, »a dimostrazione - sostengono i carabinieri - di un'endemica pericolosità sociale dei componenti dell'organizzazione«: pistole semiautomatiche cal. 7,65, cal. 9x21, cal. 38 special ma anche un fucile mitragliatore da guerra come il Kalashnikov. Dalle indagini è emerso che le armi venivano nascoste in borsoni fino a 30 pezzi in contemporanea. Per gli investigatori, l'operazione colpisce soggetti al servizio delle diverse ramificazioni della 'ndrangheta della Piana di Gioia Tauro, proprio nelle attività illecite essenziali alla conservazione ed al mantenimento del potere mafioso. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero