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Il dilemma sul Mes torna d’attualità, dopo che la Corte tedesca ha dato il via libera all’adesione della Germania al nuovo Trattato e dopo che ieri il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha sollevato la questione in Parlamento. Per chi l’avesse rimosso, il Meccanismo europeo di stabilità è la trasformazione del vecchio e discusso “Salva-Stati” ed è nato con l’obiettivo di contribuire alla stabilità finanziaria dell’Eurozona prestando assistenza ai partner in difficoltà. La riforma del Trattato ne ha rafforzato il ruolo e gli ha attribuito, in particolare, la funzione di paracadute del Fondo unico di risoluzione delle banche che ha il compito di promuovere la ristrutturazione degli istituti in dissesto.
Nel pieno della pandemia si pose il problema se accettare o no i prestiti del Mes destinati a misure nel campo sanitario (per l’Italia erano disponibili 36 miliardi a un tasso quasi irrisorio), ma il governo Conte 2 e forze dell’opposizione conclusero per il «no», visti i dubbi sulla conseguenti limitazioni della sovranità del Paese: si ipotizzò il rischio di una troika (formata da Commissione Ue, Fondo monetario internazionale e Bce) che avrebbe potuto intervenire drasticamente sulla politica di finanza pubblica; e si ricordò il gravissimo caso della Grecia portata allo stremo da una dissennata linea di austerità sostenuta proprio dalla troika.
Tuttavia, sul testo di riforma del Trattato non si espresse parere contrario da parte del governo di allora, pur riservandosi una valutazione finale in sede di ratifica parlamentare.
Che fare? Si può decidere di non ratificare, facendo leva sui dubbi e sulle potenziali ingerenze comunitarie benché ridimensionate: ciò però presenta il rischio di un isolamento italiano e, in più, si viene ad escludere il possibile ricorso, in casi di urgenza e di assoluta necessità, a una forma di assistenza per il Paese e per le banche. Si può, al contrario, optare per la ratifica, in modo da non creare problemi ai partner che al Mes vogliano attingere, ma nel contempo, con una risoluzione parlamentare, stabilire che l’Italia mai ricorrerà ai finanziamenti del Mes. Una ulteriore opzione sarebbe quella di avviare concretamente la linea del “pacchetto”.
Vale qui ricordare che, pur senza un legame diretto giuridico-istituzionale con il Meccanismo, in Europa pende da un lato il progetto di Unione bancaria che marcia a rilento per le opposizioni dei tedeschi e dei Paesi satelliti che chiedono inaccettabili contropartite a proposito della valutazione dei titoli pubblici che danneggerebbe Paesi come l’Italia; dall’altro c’è la riforma del Patto di stabilità secondo una proposta insoddisfacente della Commissione Ue che per esempio non prevede la “golden rule”, l’esclusione cioè degli investimenti pubblici dal vincolo del pareggio di bilancio e contiene altre misure da rivedere nella sostanza; infine, si ricorda che anche della normativa sul divieto di aiuti di Stato è in corso un riesame.
Si tratta perciò di porre sul tavolo l’orientamento positivo dell’Italia verso la ratifica del Trattato in cambio di impegni concreti, soprattutto da parte dei partner ostili, su quei tre punti fondamentali in una logica di “pacchetto”. Si è consapevoli del fatto che il terreno è sdrucciolevole, tuttavia una seria analisi costi-benefici potrebbe convincere anche i più riluttanti che l’idea dello scambio è il solo modo per avvicinare a soluzione un problema non facile.
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Il Messaggero