Visco: «No al taglio delle tasse in deficit»

Visco: «No al taglio delle tasse in deficit»
Le parole. Di nuovo. Prima era stato il presidente della Confindustria, Vincenzo Boccia, ad avvisare il governo. «Le parole che creano sfiducia», aveva detto qualche...

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Le parole. Di nuovo. Prima era stato il presidente della Confindustria, Vincenzo Boccia, ad avvisare il governo. «Le parole che creano sfiducia», aveva detto qualche giorno fa all'assemblea generale degli industriali, «sono contro l'interesse nazionale». Ieri è stato il turno del governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco. Tutto il senso delle sue Considerazioni Finali si può riassumere in due citazioni. La prima, del filosofo Wittgenstein: «Le parole sono azioni». La seconda, di Elias Canetti: «Nell'oscurità le parole pesano il doppio». Il monito al governo, nel giorno del nuovo balzo dello spread, è chiaro. Prudenza nell'uso delle parole. Se il Parlamento, nella colpevole distrazione delle opposizioni, vota una mozione sui Mini-Bot, che all'estero potrebbe essere letta come passo verso l'Italexit, Visco incalza la maggioranza a restare ancorati all'Unione «fondamentale per tornare su un sentiero di sviluppo. «Saremmo stati più poveri - dice - senza l'Europa, lo diventeremmo se dovessimo farne un avversario». La critica ai ritardi verso la costruzione dell' Ue è decisa, vista «l'inadeguatezza della governance economica», ma non serve prendersela con l'euro. «La debolezza della crescita dell'Italia negli ultimi 20 anni - spiega Visco - non è dipesa né dalla Ue né dall'euro», anche perché «tutti gli altri Stati membri hanno fatto meglio di noi». Vero, tuttavia qualche dubbio sui benefici dell'euro sorge quando si raffronta la situazione attuale con quella degli anni 80 perché l'analisi alla luce dei tassi reali, e non nominali, porta a conclusioni diverse.


LE CITAZIONI
Lo spread è un pericolo: «Sulle prospettive di crescita pesano le tensioni sul mercato delle obbligazioni pubbliche italiane», rileva Visco. E nelle prime fila si incrociano gli sguardi dei principali banchieri in segno di approvazione. L'Italia arranca, «quelli che sono percepiti come costi dell'appartenenza all'area dell'euro sono, in realtà, il frutto del ritardo con cui il Paese ha reagito al cambiamento tecnologico e quindi all'apertura dei mercati a livello globale. Sta a noi maturare la consapevolezza dei problemi e affrontarli». La ripresa non può avvenire «con un sollievo congiunturale mediante l'aumento del disavanzo pubblico», dice con riferimento al Reddito, perché il rischio di una espansione restrittiva secondo la definizione dell'economista Olivier Blanchard, «non è da sottovalutare». Messaggio chiaro anche questo: flat tax o disinnesco delle clausole Iva non si può fare aumentando il disavanzo. «Aumenti della spesa pubblica o riduzioni di entrate vanno inseriti in un quadro che ne garantisca la sostenibilità finanziaria», insiste Visco. «La disattivazione delle clausole Iva», spiega, va subordinata «all'individuazione di misure compensative. Per tutte le opzioni percorribili», e questo è il punto centrale, «vanno valutati in maniera accurata e trasparente i potenziali effetti su domanda, attività economica e distribuzione dei redditi». Insomma un aumento dell'Iva, magari anche selettivo, a fronte di una riduzione del prelievo potrebbe essere una soluzione.

Alle banche vigilate che rischiano di essere colpite dal rischio Paese, malgrado gli «sforzi importanti» compiuti su Npl e redditività, Visco lancia l'avvertimento di essere «vulnerabili» al ritorno «di rischi macroeconomici». Gli istituti devono abbassare ancora il rapporto costi/ricavi oggi al 66% e migliorare il ritorno del capitale (5,7%). Quest'anno l'esortazione verso le aggregazioni è rivolto alle banche popolari «meno significative», dove il rapporto tra costi e ricavi è stato superiore alla media di sistema, il rendimento del capitale inferiore, la consistenza di crediti deteriorati ancora elevata. Per questi intermediari è pressante l'esigenza di realizzare forme di aggregazioni che consentano di competere sul mercato». Il dito è puntato su 17 medio-piccole popolari riunite ai primi di gennaio sulla base di un piano che prevede una holding. Ma escludendo Sondrio (troppo grande) e Bari (in difficoltà), le altre 15 fanno orecchie da mercante restando avvinghiate al campanile.
Rosario Dimito
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Il Messaggero