Nell’idea di molti strateghi dello sviluppo economico, Industria 4.0 rappresenta il futuro della manifattura mondiale. Già oggi sta determinando quali Paesi usciranno...
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Ma c’è ancora in Italia una filiera economica con lineamenti e caratteri specifici in grado di farla riconoscere come una variante delle molte forme di capitalismo che si confrontano nel mondo? Se ancora pochi anni fa c’erano dubbi, oggi la risposta è inequivocabile: no. Un capitalismo italico nel senso in cui se ne poteva parlare a cavallo tra il 1960 e poco prima che si chiudesse il secolo, nonesiste più. E il certificato di morte lo ha scritto di recente lo storico Giuseppe Berta in un pregevole saggio per i tipi del Mulino(«Che fine ha fatto il capitalismoitaliano?»).
Berta ha ragione, dalmomentoche tra la fine delNovecento e i giorni nostri l’intelaiatura che sosteneva la grande industria manifatturiera innervata nell’Iri (quellapubblica) e fortemente orientata da Mediobanca (quella privata) è stata smontata pezzo dopo pezzo. Liquidato l’Iri, trasformato in merchant bank l’ircocervo Mediobanca, gli ultimi fuochi si sono consumati a cavallo tra il 2015 e il 2016 con lo sbriciolamento dell’Ilva, Telecom passata sotto insegne francesi, Pirelli diventata cinese, Italcementi tedesca e Fiat - oggi Fca quasi a voler negare le sue origini piemontesi - ormai colonia di se stessa con testa e portafoglioallocatiovunquefuorchéin Italia.
Vero è che a fronte di queste “diserzioni” abbiamo gli esempiincoraggianti dei Caltagironee deiBombassei, dei Campariedei Lavazza,chepurnonavendola stazzadegli esempi citati, mostrano i contorni di un’altra Italia economica che non cede attività e posizioni, ma ne guadagna ampliando all’estero il raggio d’azione. Naturalmente sullabilancianonbastanoa riequilibrareciòcheèpassato in mani straniere. E’ però innegabile che a differenti stadi di evoluzione incarnano quanto di nuovo e di più solido è venuto coagulandosi all’interno dei settori o dei territori dove è ramificata la presenza dell’imprenditorialità.
Di eccellenze delmade in Italy si parla da tempo, sui giornali e nei convegni.Maè soprattutto il fashion, la moda a fare notizia (per fortuna non solo quando le aziende prendono il volo verso le conglomerate straniere). C’è però un’ampia platea di aziende medie e piccole, appartenenti ai più diversi settori, che da sempre rappresentano la vera spina dorsale dell’economia nazionale e che nemmeno la crisi ha fermato, anzi accentuando la loro volontà di affermazione oltre i confini nazionali con modelli di crescita i più disparati e una capacità di innovare che per molte di esse è diventata la cifra distintiva. Mille, cinquemila, forse più: difficile quantificarle, per questo il Messaggero ha iniziato un viaggio lungo la Penisola per conoscere e far conoscere eccellenze imprenditoriali, piccole e grandi, una parte delle quali sicuramente note anche a livello internazionale,maaltre ancora tutte da scoprire. Un viaggio che il Messaggero si augura lungo, convinto com’è che da qui può partire, in uno con i grandi investimenti infrastrutturali, ilvero rilancio dell’economia.
Anche la principale banca del Paese, Intesa Sanpaolo, è convinta che la matrice del nuovo ciclo sia da rintracciare nelle Pmi.
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Il Messaggero