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Donne di denari, è l’ora di mettersi in gioco, alzare la posta e pretendere più attenzione.
Alla faccia di quanti ancora pensano che la finanza non sia affar loro. Lo è, eccome, su tutti i fronti. Cresce la schiera delle manager, anche se ancora troppo lentamente. E aumenta il numero di investitrici e risparmiatrici, di quante vogliono gestire al meglio i loro soldi e reclamano servizi su misura. Tante in gioco - e in carriera - lo sono già e regalano all’Italia un primato in Europa: siamo il Paese con la più alta rappresentanza femminile nei board finanziari, il 47% per le quotate. Tutto bene? Per niente, perché salendo ai piani alti, quelli del top management, le donne quasi spariscono: nelle società finanziarie italiane quotate le donne al timone con il grado di ad sono solo il 2%, nelle banche solo l’1%.
IL GRADINO ROTTO
Colpa di quel gradino rotto che ancora si incontra nella scalata ai ruoli di comando. Ma che non ha fermato la corsa di manager italiane che ce l’hanno fatta ad arrivare ai vertici. Come Paola Pietrafesa, ad e direttore generale di Allianz Bank Financial Advisors, la prima donna a guidare una banca attiva nel mondo della consulenza finanziaria. O come Alberica Brivio Sforza, da un anno managing director in Italia della banca svizzera Lombard Odier (che gestisce 309 miliardi di euro di asset). E ancora, Cinzia Tagliabue, ceo di Amundi SGR Italy, o Manuela D’Onofrio, responsabile Group Investments and Solutions in UniCredit. Ancora eccezioni, purtroppo. Abbiamo dovuto aspettare il 2021 per vedere la prima donna italiana al governo di una grande banca sistemica, Elena Patrizia Goitini, ad di Bnl Bnp Paribas.
LA CULTURA
«I numeri ci dicono che le donne hanno una cultura finanziaria più bassa degli uomini e minore fiducia nelle possibilità del mondo finanziario», aggiunge la professoressa Alemanni. «Ma c’è anche una questione culturale. Pensiamo al linguaggio: in finanza si usano termini di un vissuto tipicamente maschile, presi in prestito da campi di battaglia e sfide fisiche. Bisogna superare gli schemi che instillano una divisione dei ruoli, con le donne impegnate a gestire piccoli budget e gli uomini a far crescere il denaro». Il rapporto tra donne e denaro è ancora culturalmente problematico. Parlarne è considerato volgare e poco educato. Un tabù che l’economista Azzurra Rinaldi, direttrice della School of gender economics alla Sapienza, dove insegna Economia politica, prova a demolire nel suo libro “Le signore non parlano di soldi” (Fabbri editori). «Bisogna normalizzare la narrazione sui soldi. Parliamone tra di noi - sostiene l’economista - entriamo in confidenza con il denaro e con il potere. I soldi sono alla base del processo di empowerment».
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