Dalla Sicilia a Sulmona per costituirsi in carcere: «Qui mi sono trovato bene»

Dalla Sicilia a Sulmona per costituirsi in carcere: «Qui mi sono trovato bene»
 In carcere come fosse un hotel a cinque stelle e, d’altronde, a Sulmona non sembra essere così difficile reperire telefoni dietro le sbarre: portati dai droni...

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 In carcere come fosse un hotel a cinque stelle e, d’altronde, a Sulmona non sembra essere così difficile reperire telefoni dietro le sbarre: portati dai droni se non, come accaduto, persino da agenti di polizia penitenziaria. Tant’è che ora è allo studio del ministero l’ipotesi di schermare lo spazio aereo di via Lamaccio, in modo da mettere un freno, anzi interrompere il flusso di comunicazioni via etere che dalla Casa di reclusione sembrano essere molto frequenti.

Avrà tenuto conto anche di questo, probabilmente, Giovanni Crinò, trentottenne siciliano, che l’altro giorno si è fatto centinaia di chilometri per recarsi nel capoluogo peligno e, una volta arrivato, chiamare i carabinieri: «Venitemi ad arrestare – ha detto ai militari – ho una condanna da espiare. Non era uno scherzo: i carabinieri della compagnia di Sulmona, infatti, andati sul posto indicato dalla singolare telefonata hanno identificato Crinò e verificato come a suo carico ci fosse un provvedimento emesso dalla procura della Corte d’Appello di Messina che lo condannava in via definitiva ad otto anni di reclusione, di cui uno già scontato proprio a Sulmona.

«Mi sono trovato bene qui» avrebbe dichiarato ai militari che lo hanno arrestato l’altro giorno, motivo per il quale a Sulmona sarebbe tornato per farsi sette anni di carcere. Il dubbio è che a muoverlo siano state altre motivazioni: forse l’esigenza o il comando di stare vicino a qualcuno di sua conoscenza detenuto in via Lamaccio. Crinò è finito in carcere a seguito dell’inchiesta “Dinastia” che nel 2020 portò all’arresto di 59 persone tra Sicilia, Calabria e Sardegna: associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione, detenzione e porto illegale di armi, violenza e minaccia, con l’aggravante del metodo mafioso. Ora sarà il Dap a decidere se è il caso che rimanga nel carcere che si è scelto.

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Il Messaggero