Casa a luci rosse al Pilastro, il processo per sfruttamento della prostituzione si chiude con la prescrizione. Nessuna condanna e nemmeno “assoluzione piena” per il tuttofare viterbese finito sotto la lente della magistratura nel 2012, dopo un blitz tra le mura della “casa del piacere”. L’uomo, assistito dall’avvocato Emilio Lopoi, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, era il compagno di una delle escort e si occupava della gestione delle stanze e di recuperare gli affitti delle ragazze che lavoravano lì.
Affitti salatissimi. «Ho firmato un contratto d’affitto - ha spiegato una delle testimoni durante una delle udienze - a ottobre 2011. In quella casa ci sono stata un mese soltanto. Ho pagato 600 euro. Ero lì perché mi prostituivo. Nella casa eravamo in tre. Una delle donne aveva una relazione con l’imputato». La testimone è solo una delle tante donne, di origine dominicana, che aveva raccontato al collegio del Tribunale di Viterbo come funzionavano le stanze a luci a rosse della casa del Pilastro.
«Per prostituirmi - disse, nella precedente udienza, un’altra inquilina al collegio - pagavo 350 euro a settimana. Il problema non era tanto la cifra quanto che poco tempo dopo sono iniziati i lavori in via del Pilastro e i clienti non venivano più. Io e altre colleghe chiedemmo di rateizzare il pagamento dell’affitto, ma loro continuavano a chiederci i soldi». Pochi giorni dopo la chiusura della strada per manutenzione, gli uomini delle fiamme gialle, irruppero nella casa, scoprendo l’attività illecita. Attività illecite per cui nessuno pagherà, 11 anni dopo il bltiz è arrivata la prescrizione.