L'ospedale di Perugia, il più grande e il migliore della regione, è anche questo. Piano terra, blocco H, a Geriatria ci arrivi seguendo le frecce gialle sul pavimento. A mezzogiorno sfilano i carrelli del pranzo: l'operatore è costretto allo slalom tra i letti. Su un lato le porte delle camere, sull'altro sono messe in fila le barelle. Solo due, tre passi tra una e l'altra. Un paravento scuro prova a delimitare il perimetro, ristrettissimo, che spetta ad ogni paziente, se passando provi ad incrociare il loro sguardo abbassano gli occhi sul pavimento. Come a tentare di protegge con un gesto quella riservatezza che non c'è. Il letto di una signora, la più sfortunata, è stato parcheggiato trasversalmente rispetto al perimetro della corsia. Così non ostruisce il passaggio. Hanno sfruttato addirittura una rientranza del corridoio. Pochi centimetri di qua e pochissimi di là.
«Scusi, cerco la signora...», domanda una donna. «Laggiù...», la risposta gentile di un'infermiera. Qualche passo oltre, stesso piano, “zero”, stesse frecce gialle in terra: Medicina interna. Qui i letti in corsia sono due. Un uomo sulla cinquantina aiuta una paziente nelle operazioni del pranzo - forse è la mamma - con buona pace della privacy, che spetta a tutti, di più a chi è malato.
Se parli con chi l'ospedale lo conosce bene, la lista degli spazi “troppo pieni” s'allunga: «Cardiologia,
Urologia... e pure Gastroenterologia». In questi reparti, degenti in corsia non si vedono. Soltanto la sensazione di un corridoio parecchio affollato e qualche letto - libero - sul corridoio. Altri giurano che quelle sigle fantasma, “corridoio” seguito dal numero romano, le hanno viste scritte «pure sui fogli di ricovero».
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