Daniel Ezralow al Teatro Olimpico con i ballerini di “Amici”: «Torno a Roma e poi a Cannes con il film di Coppola»

Il coreografo americano, che ha collaborato con David Bowie, Lucio Dalla e ora con il regista americano per l'ultimo film Megalopolis, atteso sulla Croisette. presenta lo spettacolo Open con i giovani talenti della tv: trattiamo temi gioiosi e seri, siamo tutti divini e cortigiani in egual misura

Lo spettacolo Open del coreografo Daniel Ezralow, dal 27 febbraio al teatro Olimpico
di Simona Antonucci
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Sabato 24 Febbraio 2024, 21:25

«Open è una scatola piena di pazze idee. Un inno all’amore, un manifesto ecologico, una riflessione sull’amore. Ma tutto entra in ballo con ironia, si scherza persino sulle note di Beethoven che accompagnano un danzatore con la scopa in mano. Perché nulla è sacro: siamo tutti divini e cortigiani». Il coreografo americano Daniel Ezralow, 67 anni, tra i fondatori di Momix e Iso, porta a Roma (al Teatro Olimpico dal 27 febbraio al 3 marzo, per la stagione dell'Accademia Filarmonica) il suo Open, spettacolo del 2012, «ma che piace ancora e diverte».

 

Brevi quadri fulminanti, affidati ai giovani ballerini di Amici di Maria De Filippi: Samuelino Antinelli, Claudia Bentrovato, Oliviero Bifulco, Miguel Chavez, Mimmina Ciccarelli, Rosa Di Grazia, Christian Stefanelli e Klaudia Pepa. «Basta con i pregiudizi nei confronti degli artisti televisivi.

Sono bravi e basta», spiega Ezralow che durante la sua carriera ha tirato giù un bel po’ di steccati: ha firmato coreografie per l’Olandese Volante di Wagner e per il Cirque du Soleil, ha affiancato Vittorio Gassman nel Moby Dick a Parigi e Lucio Dalla in Tosca - Amore Disperato. Ha collaborato con David Bowie e Bocelli; con gli stilisti Issey Miyake e Roberto Cavalli e ha preso parte alla realizzazione dei film di Bellocchio, Wertmüller e Taymor.

Come ha tenuto insieme tutte queste discipline artistiche?

«Sono state tutte esperienze fantastiche. Ho appena finito di lavorare con Coppola per le riprese di Megalopolis, film kolossal atteso a Cannes. Siamo stati quasi un anno insieme, parlando di tutto. Ma è stato molto interessante anche il set di Livermore, a Torino. Lo avevo già conosciuto per il suo Macbeth alla Scala, e ora ci siamo rincontrati per il suo The O, un film visionario che racconta Orfeo ed Euridice con le più belle arie d’opera di tutti i tempi».

Si sente ancora un coreografo di danza contemporanea?

«Non voglio altri nomi sul mio curriculum. Alla mia età voglio solo dare. La mia creatività oggi è a disposizione degli altri per offrire una mia visione del mondo. Non è importante che cosa si faccia né con quale linguaggio si realizzi un’idea. Ma è fondamentale che sia necessaria. E che l’intenzione di creare nasca da un bisogno autentico di comunicare con il pubblico».

Nessuna nuova coreografia?

«Non sento una profonda motivazione. Trovo che sia inutile occupare spazio inutilmente. Sarò severo. Ma credo che tutti dovrebbero farsi tante domande prima di impegnare ballerini, teatri, macchinisti... Alla fine bisogna essere realisti. Se qualcuno mi chiede di fare qualcosa, e io credo nel progetto, ci metto tutto me stesso. Altrimenti, preferisco recuperare uno spettacolo del passato come Open che ha ancora da dire».

Che cosa ha da dire?

«È un’esaltazione della vita e di tutto ciò che essa porta con sé: gioia e amore, rabbia e dolore. Si viene travolti da colori, luci, ritmo. Ma se guardi “sotto il tavolino” trovi molto altro. Lo spettacolo inizia con la frenesia della città. Sui video scorrono macchine, rumore, muri. Seguiamo un uomo d’affari. E quando decide di cambiare vita, compare il mare. Onde e rifiuti, ma tra la spazzatura c’è anche una sirena. Piantiamo alberi sul palcoscenico. I ballerini respirano la terra. E si annusano come animali. Nelle città i nostri sensi sono bloccati, dobbiamo tutti recuperare il rapporto con la natura».

È vero che lei lo sta recuperando in Maremma?

«Si ho comprato della terra e ho piantato degli ulivi. Open, come dicevo prima, ha 12 anni ma può ancora insegnare a tutti noi». 

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