L'incomunicabilità nella coppia e la violenza contro le donne: l'Opera di Roma riunisce Il tabarro di Puccini e Il castello del Principe Barbablù di Bartók, in scena dal 6 aprile

Due storie di violenza di genere, due vicende che ricordano la cronaca odierna, in cui la donna è schiacciata dall’uomo, due opere coeve, andate in scena per la prima volta nel 1918, i capolavori di Puccini e Bartók riuniti in un inedito dittico ricomposto dal maestro Michele Mariotti

iL Tabarro di Puccini all'Opera di Roma dal 6 al 18 aprile
di Simona Antonucci
5 Minuti di Lettura
Giovedì 6 Aprile 2023, 16:29

Due storie di violenza di genere, due vicende che ricordano la cronaca odierna, in cui la donna è schiacciata dall’uomo, due opere coeve, andate in scena per la prima volta nel 1918, e che «raccontano l’incomunicabilità all’interno della coppia, che sfocia nella violenza», spiega Maria Agresta, il soprano che dà voce e cuore a Giorgetta, la giovane donna de “Il tabarro” di Giacomo Puccini, che va in scena questa sera, 6 aprile, e fino al 18, all’Opera di Roma insieme con “Il castello del Principe Barbablù”, di Béla Bartók (la prima di giovedì 6 aprile è proposta da Rai Cultura in diretta/differita tv su Rai5 a partire dalle 21.15, oltre che in diretta alle 20 su Radio3).

 

FESTIVAL PUCCINI

A riunire i due capolavori e a dirigerli, il direttore musicale dell’Opera di Roma, Michele Mariotti.

Lo spettacolo fa parte di un progetto triennale realizzato in collaborazione con il Festival Puccini di Torre del Lago in occasione del centenario della morte di Puccini, che cade nel 2024. Il suo Trittico verrà scomposto e ricomposto in tre dittici, proposti uno all’anno per tre stagioni consecutive, grazie all’accostamento di ogni titolo a un altro capolavoro del Novecento.

GIORGETTA

È una gabbia ad accompagnare sul palcoscenico Giorgetta, protagonista di “Il tabarro”. Sbarre di un carro per gli attrezzi teatrali che circoscrivono l’ambito della sua persona. «La dimensione in cui finisce dopo la morte del figlio, un posto in cui tutto è fuori luogo, distante dalla vita che sognava. Vittima della violenza psicologica che si accende quando due mondi, il suo e quello dell’uomo che pensava di amare, non s’incontrano più», aggiunge la cantante salernitana che quando interpretò Norma al Théâtre des Champs-Élysées venne paragonata alla Callas.

JOHANNES ERATH

Il dittico inedito (“Il tabarro” è parte del trittico pucciniano con “Suor Angelica” e “Gianni Schicchi”), per una nuova produzione del regista tedesco Johannes Erath, al suo primo impegno operistico in Italia e al suo debutto al Costanzi, vanta un cast di eccellenze. Oltre ad Agresta, che al Costanzi è stata un’indimenticabile Anna Bolena, per “Il tabarro” tornano all’Opera di Roma il baritono Luca Salsi (Michele), protagonista di innumerevoli produzioni capitoline con il Maestro Muti e più recentemente sui palcoscenici internazionali più prestigiosi, e il tenore Gregory Kunde (Luigi), reduce dal successo nell’Aida diretta a gennaio da Mariotti. Accanto a loro Didier Pieri come Tinca, Roberto Lorenzi come Talpa ed Enkelejda Shkoza nella parte di Frugola. Sebastian Catana incarna il ruolo di Michele nell’ultima recita di martedì 18 aprile. Per il capolavoro di Bartók invece salgono sul palcoscenico il mezzosoprano Szilvia Vörös e il basso Mikhail Petrenko, entrambi al debutto al Costanzi. Il coro della fondazione capitolina è istruito da Ciro Visco.

IL CASTELLO DI BARBABLÙ

«Il tabarro incomincia con un tramonto», racconta il regista Johannes Erath», «ma termina in una notte cupa, dove la luce di un fiammifero diventa fatale per una coppia che ha perso la capacità di esprimersi e di comunicare. Anche Il castello di Barbablù inizia con una coppia nella notte: anche in questo caso il loro sforzo di esprimersi e comunicare non porterà alla luce. Affiancare questi due capolavori ci offre l’occasione rara di osservarli con uno sguardo nuovo: l’atto unico di Puccini appare molto più simbolista e impressionista di quello che si immagini, mentre quello di Bartók è più realista di quanto si immagini».

GIANNI CHICCHI

Due opere distanti, ma vicine, nella visione del maestro Mariotti che le introduce così: «Solo dopo aver composto Il tabarro», spiega il Direttore musicale dell’Opera di Roma, «Puccini decise di accompagnare il dramma in un atto con Suor Angelica e Gianni Schicchi. L’idea del Trittico quindi è nata strada facendo. La nostra idea è stata invece quella di scomporlo, accostando ciascun titolo a un altro atto unico novecentesco, che ne esalti le caratteristiche musicali e drammaturgiche più salienti. Un modo quindi per guardare il capolavoro tripartito di Puccini da un’angolazione diversa. In questa stagione cominciamo con “Il tabarro” e “Il castello del Duca Barbablù”. Nella prossima stagione», conclude Mariotti, «proporremo “Gianni Schicchi” e “L’heure espagnole” di Maurice Ravel: due straordinarie pagine buffe, nelle quali si sorride ma in modo cinico e un po’ amaro sulle disgrazie della vita, mentre nella stagione 2024/2025 accosteremo “Suor Angelica” a “Il prigioniero” di Luigi Dallapiccola: altri due lavori accomunati dalla violenza, che però si esprime attraverso il fanatismo religioso». «Da Barbablù al Tabarro», conclude Maria Agresta, «c’è un unico filo ed è assolutamente interiore. Nascosto dentro l’anima. Nel Castello di Barbablù le porte non si possono aprire, perché sono una proiezione verso un mondo che spaventa, così come il ricordo di Giorgetta, la morte del suo bambino, che non può essere toccato».

LA SENNA

Lo spettacolo inizia con Giorgetta dentro un carro teatrale. Non c’è la barca, non c’è la Senna, c’è il teatro nel teatro. Con la protagonista che sognava di essere una ballerina. Si vedono le scarpette. Il bimbo scomparso diventa una bambina ballerina che muore in scena. «E in questa morte c’è la fine dei sogni. Tutti i protagonisti, ma anche le comparse, sono macchinisti, persone che lavorano in palcoscenico. La messa in scena della propria vita che finisce nel sangue. Dentro il tabarro che un tempo la proteggeva», conclude il soprano.

© RIPRODUZIONE RISERVATA