Il musicista siciliano, anche se indebolito dalla malattia, è il punto forte del nuovo volo della “Capinera”, il melodramma moderno in scena dal 9 dicembre al teatro Bellini di Catania (sette repliche fino al 18). Sul podio, Leonardo Catalanotto, coreografie di Valerio Longo dell’Aterballetto. I cantanti interpreti sono Cristina Baggio e Giulia De Blasio (Maria, soprano leggero), Andrea Giovannini e Alessandro Fantoni (Nino, tenore), Francesco Verna e Salvatore Giglioli (padre di Maria, basso), Carlo Malinverno e Giuseppe De Luva (Il colera, basso-baritono).
La storia della ragazzina, orfana, chiusa in un convento dove morirà per un disperato amore, ritratta da Verga a fine Ottocento, ha incantato Gianni Bella, che ha composto le musiche, Mogol che ha scritto le liriche, Giuseppe Fulcheri che ha firmato il libretto, Geoff Westley che ha curato l’orchestrazione e il premio Oscar Dante Ferretti che ideato scene, costumi e regia. «Ho immaginato grandi teli che riproducono le atmosfere dell’epoca, giocando sulle luci per sottolineare gli stati d’animo». E il sovrintendente del lirico siciliano Roberto Grossi, con il direttore artistico Francesco Nicolosi ha deciso di produrre l’impresa. «Ho sottoposto il progetto a fondazioni liriche italiane e nel mondo», racconta Grossi, «che aspettano di vedere lo spettacolo. Siamo un ente pubblico e abbiamo il dovere di intercettare nuove sensibilità e coinvolgere un pubblico sempre più ampio. Il repertorio classico è centrale, ma bisogna provare a rinnovare la lirica, altrimenti i teatri rischiano di diventare ripetitori del passato».
Il romanzo “Storia di una capinera” fu un best seller del 1871 e ha già avuto tre trasposizioni cinematografiche, ultima quella del 1993 di Zeffirelli. «Ma mai un allestimento teatrale», aggiunge il Sovrintendente, «con un’orchestra di 80 elementi e le scene light di Ferretti adatte a essere montate in qualsiasi sala. Noi siamo convinti che il linguaggio del melodramma sia tutt’altro che esaurito e non poteva esserci opzione più appropriata di un progetto che si rifacesse a radici profondamente siciliane».
L’impresa che Mogol definisce «all’80 per cento melodramma ottocentesco e al 20 per cento una cosa assai diversa», è cominciata parecchi anni fa, dal desiderio di Gianni Bella di andare oltre il pop. «Più sviluppava il libretto di Fulcheri, più si rendeva conto che stava nascendo qualcosa di nuovo», racconta Chiara Bella, figlia di Gianni, accanto a lui per aiutarlo a comunicare, «e nonostante sia sopraggiunta la malattia, non abbiamo mollato». «Quando sono venuti a trovarmi», racconta Mogol, «mi sono tirato indietro.
Una follia, ho pensato. Ma dopo aver ascoltato l’ouverture sono rimasto senza parole. Gianni è un genio».
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