Jeff Mills, la leggenda della techno il 12 settembre al Parco della Musica di Roma: «Niente barriere, un dj è un artista a tutto tondo»

Il dj Jeff Mills, maestro nel manipolare dischi (anche con orchestre sinfoniche), torna al Parco della Musica, il 12 settembre, per Romaeuropa Festival «In questa città c’è una concentrazione millenaria di pensiero. Contaminarsi con questo patrimonio è una bella sfida»

Il dj e artista statunitense Jeff Mills, 60 anni, il 12 settembre al Parco della Musica per Romaeuropa
di Simona Antonucci
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Domenica 10 Settembre 2023, 17:52

Un rito dedicato all’ignoto, ai ritmi che fanno battere il cuore, ai suoni che invitano a trascendere la realtà. È una leggenda dell’elettronica a dare il via ai percorsi musicali contemporanei del Romaeuropa Festival: Jeff Mills, rappresentante della techno nel mondo, maestro nel manipolare dischi (anche con orchestre sinfoniche), autore di brani per le sfilate di Dior e di un remake della colonna sonora di Three Ages di Buster Keaton, torna al Parco della Musica, martedì 12 settembre, con il progetto Tomorrow Comes The Harvest.

ROMA

«Roma è un posto speciale», dice il dj, artista e produttore discografico statunitense, «una città dove c’è una concentrazione millenaria di pensiero. Contaminarsi con questo patrimonio è una bella sfida». Mills, 60 anni, affascinato dalla fantascienza (Tomorrow Comes The Harvest prende spunto da un romanzo che viaggia in universi paralleli) si è esibito al Romaeuropa anche nel 2012 con Sequence e nel 2017 in dialogo con il leader dell’Afrobeat, Tony Allen (scomparso nel 2020). Oggi è con il trio composto da Prabhu Edouard, suonatore di tabla di origine indiana, e Jean-Phi Dary, il tastierista francese di origini guyanese che fino alla scomparsa di Allen ha accompagnato il duo in tutte le tournée.

L’idea di Tomorrow Comes The Harvest nacque proprio da Mills e Allen. A portarla avanti, oggi, i tre artisti riuniti intorno agli stessi obiettivi. Debutto sull'isola di Delos, per la registrazione in riva al mare greco (con il sostegno della Fondazione Onassis) e ora l’evento romano.

Come nasce questo progetto?

«Il titolo viene da un romanzo di fantascienza di Octavia E. Butler. La riflessione comune è su come le azioni di oggi influenzino il domani. Nel libro si immagina un futuro distopico, noi ci concentriamo su progetti creativi, semi che piantati oggi porteranno qualcosa domani».

E voi che cosa seminate?

«Mostriamo le mille vie della creatività. E tutte le contaminazioni, dal jazz alla fusion, al rock, alla classica, emergono durante la performance. Non saprei come definire questo genere ma è un nuovo modo di suonare fondato su conversazioni».

Con Tony Allen di che cosa parlava?

«Abbiamo avuto alcune delle conversazioni più profonde della mia vita. Noi parlavamo e poi suonavamo e la musica era la conseguenza di quello che ci eravamo detti.

Attualità. Politica, ambiente. Progetti da sviluppare. Direzioni da prendere».

Sul palco è tutto improvvisato?

«Sì, ogni concerto è un viaggio diverso con i suoi paesaggi e la sua storia. Non abbiamo mai fatto prove. Cerchiamo di esprimere le sensazioni del momento».

Percorso molto sofisticato...

«Tante volte ci siamo detti, scherzando, che bisognerebbe puntare a qualcosa di meno minimal, meno astratto, più trendy, come Beyonce, Coldplay...».

Lei è un dj da 70 dischi all’ora: cosa conserva di quella cultura?

«Il termine dj è nato per definire persone che lavoravano alla radio. Mettevano dischi e la gente ascoltava. La dj culture si è evoluta e la tecnologia ci ha permesso di comporre musica, di creare. Oggi un dj è il padrone di un party, il leader della notte. Grazie TikTok, ai social la personalità di un dj oggi è illimitata».

C’è uno strumento che le sarebbe piaciuto suonare?

«Ho iniziato da ragazzino con la batteria, per caso. Era della fidanzata di mio fratello. Grazie alle percossioni ho potuto coltivare il senso del ritmo. Quando poi sono andato al liceo, tra la fine degli Anni Settanta e gli inizi degli Anni Ottanta, tutti ascoltavano hip-hop e per me fu naturale passare dalla batteria ai giradischi. Lo strumento giusto al momento giusto. Ma il mio approccio, con le percussioni o con le drume machine, con un’orchestra o un dj set, è sempre da musicista. Non esistono barriere nell’arte».

Lei è riuscito a coniugare techno e classica, con un’orchestra sinfonica. Come?

«La musica elettronica può essere arrangiata con la sinfonica. Bisogna superare e limiti. E creare compromessi musicali».

In “The Harvest” parla di semi da piantare oggi per cambiare il domani: pensa che l’arte possa condizionare il futuro?

«Se le cose accadono dal vivo, ti influenzano, stimolano pensieri ed emozioni. In un mondo come il nostro dove tutto è registrato, assistere a qualcosa che prende forma in diretta, ti proietta verso nuove prospettive che ti predispongono a cambiamenti».

Anche lei, come Bob Dylan, eliminerebbe i telefoni durante un live?

«No. Non puoi chiedere alle persone di vivere emozioni come vuoi tu».

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