Europa e capitalismo, Diego Fusaro analizza l'imperialismo dei mercati nel Vecchio continente

Europa e capitalismo, Diego Fusaro analizza l'imperialismo dei mercati nel Vecchio continente
di Carmine Castoro
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Martedì 2 Giugno 2015, 06:25 - Ultimo aggiornamento: 3 Giugno, 20:56
Perentorio e giustamente inappellabile lo scenario politico internazionale che tratteggia Diego Fusaro, giovanissimo filosofo poco più che trentenne, docente di Storia della filosofia all’università Vita-San Raffaele di Milano, intervenuto giorni fa a Roma a un affollatissimo convegno organizzato dal CFP, Centro di formazione Potenziale Uomo, coordinato da Fulvio Rinaldi, che ha fra i suoi precipui scopi il rilancio della società civile e il riavvicinamento dell’Economia all’Etica.



Cos’è, dunque, oggi l’Europa? Un arcipelago di diversità, una pluralità di popoli e nazioni che hanno scelto di fare un cammino comune, o un giogo che li avvince a categorie astratte come banche, monete, burocrazie? Fusaro ha le idee chiare: è sicuramente una formazione pseudo-unitaria che livella le differenze etniche e culturali sotto i dettami violenti e distruttivi dell’euro e di apparati di potere sempre più sganciati dal controllo delle istituzioni democratiche.



Il concetto è ampiamente sviluppato in questo suo “Europa e Capitalismo” dove l’imperialismo mistico dei mercati, la civiltà dei consumi, la rutilante macina dello Spettacolo e la perdita di sovranità della res pubblica sembrano coagularsi in una stretta mortale, in un laccio soffocante, in un gioco perverso di malìe e sofisticazioni – istituzionali e linguistiche – che spingono l’individuo ad uno spirito rassegnato, a un senso naturale ed eternizzato dei rapporti produttivi ed umani che forse mai la Storia ha imbracciato come arma letale con questa stessa potenza assassina.



Teso e “scapigliato”, denso e didattico, corrosivo e ritornante come solo il vero pensiero filosofico-critico sa e deve essere, lo stile di Fusaro ci sgrana sotto gli occhi quel destino sgradevole di “asimbolìa” e “apraxìa” cui sembriamo soggiacere: nessuna narrazione del mondo, nessuna classe “illuminata”, nessun soggetto rivoluzionario, nessun senso della responsabilità ideale e trasformatrice dell’esistente.



Ma tutto ingoiato da un “globalitarismo”, da una tirannia psico-finanziaria, del denaro e dell’omologazione di massa, che ci nega ormai anche la più semplice passione di immaginare un mondo alternativo a quello attuale, un disporsi diverso delle nostre emozioni, una spaccatura in quel nuovo Muro di Berlino fatto di “assolutismo monocratico che ospita al proprio interno la pluralità caleidoscopica degli stili di vita e dei costumi unificati funzionali al sacro furor della valorizzazione illimitata”.



Oggi, insomma, la naturale interferenza fra fenomenologia e scenologia – costruzione di un teatro umano, di un testo e di un tempo – è come triturata da un volano auto-referenziale, da una contabilità universale e una mania classificatoria, da un ciclotrone economico-spettacolare che ha trasformato, uomini e cose, in particelle browniane di cui non si coglie più il vissuto, la relazione, il controluce, l’ombra e l’alterità, e che per troppa accelerazione svaniscono come povere crisalidi.



Tutto è orchestrazione di interessi e di appeal, camuffamento di scomode verità, canonizzazione del nulla, glorificazione dell’insipienza, maestosità del banale e del ripetitivo, imballaggio di corpi, saturazione di sistemi nervosi. La profusione ha sostituito il progetto. La confusione, il convivio. Il trucco, il tragico. Il nominalismo, il nomadismo. Il mercato, il meritato.



Intuizioni particolarmente felici sono quelle in cui Fusaro coglie che l’essenza diabolica del “credo mercatistico” oggi consiste in una “genericità” , in una “condizione di mancanza”, in un neutro non-ancora che non diventa progetto e insurrezione, fuoco problematico e ascensione della libertà, ma gestione dei desideri e propagazione di forze amorfe asservite alla ratio economica dominante che le disfa a sua immagine e somiglianza come un Deus absconditus.



Assistiamo a una compatibilità fra grandezze ridotte al valore che solo esternamente vien dato loro dal Sistema della plutocrazia mondiale, con la conseguente blindatura del soggetto in micro-sacelli dettati dai media e dalla pubblicità che dispongono di noi come vogliono, ovvero come contenitori di paure e gioie plastificate iniettati alla bisogna. Presi in questa vertigine dell’artificio, dentro un mondo-flusso di cui non vediamo più i nessi logici, le radici storiche, le tensioni morali, precipitiamo, secondo Fusaro, in una de-sostanzializzazione e mutazione dei rapporti reciproci in nome della vendibilità, dell’arrivismo, dell’adattamento allo status quo, della riduzione dell’unicum – che ognuno o ogni cosa è o ha - ad un processo alienato di monetizzazione e diffrazione del sentire.



La commutabilità è il territorio vacuo e coeso, in nome del quale il Capitalismo di terza generazione, quello cui Fusaro attribuisce la “sussunzione totale” e non più solo formale della Vita alla Merce – soprattutto con l’uso massiccio dell’ipermediaticità – rapisce le proprietà e le particolarità di ognuno o di ogni cosa. E’ la Grande Costellazione che contiene il pullulare di libertà - o di manifestazioni oggettuali di essa - distratte dal loro codice coesistentivo-affettivo e lasciate volteggiare in un grande Frullatore Planetario che ha perso ogni misura.



In un altro interessantissimo libro, uscito in questi giorni, “E’ l’economia che cambia il mondo” (Rizzoli), il ministro greco delle Finanze, Yanis Varoufakis, così descrive la grande contraddizione attiva sin da secoli fa che da chance del futuro rischia di diventare emofilia dell’oggi: “Da un lato, la commercializzazione dei beni, della terra e del lavoro ha posto fine alla servitù della gleba, a incredibili pregiudizi, agli Stati teocratici, all’oscurantismo. Ha fatto nascere l’idea della libertà, la prospettiva di un’abolizione della schiavitù, la potenzialità tecnologica per produrre beni sufficienti per tutti. Dall’altro, ha creato una miseria e una infelicità mai viste, insieme a un nuovo tipo di povertà”. E ancora: “Prima del sorgere delle società di mercato, alla fine del XVIII secolo, l’ideologia dominante aveva natura religiosa.



La disuguaglianza, l’assolutismo, la violenza del potere venivano sempre giustificati con una condizione naturale, voluta dalla provvidenza divina. Dopo il trionfo dei valori di scambio e l’avvento sulla scena della società di mercato, però, l’ideologia dominante ha preso la forma della teoria economica, a cui ha dato una veste scientifica”. Rottura epistemologica, quest’ultima, completata, secondo Varoufakis, dalla moda attuale di considerare “questioni tecniche” da affidare solo a banchieri, statistici ed esperti, i nodi economici che un tempo richiamavano proprio il “nomos” dell’”oikos”, le leggi della casa comune, che tutti abitiamo e dove tutti ci guardiamo negli occhi.



L’atomizzazione - l’espressione hegeliana che Fusaro ricorda di “atomistica delle solitudini” – è, allora, il vero ghost psicologico e antropologico dell’economia liberale che spinge verso l’universo delle possibilità e dell’uguaglianza di fatto, ma manda in malora quest’ultima nel delirio dell’isolamento e della slealtà applicati alla supremazia ad ogni costo. Tutti uguali, ma tutti separati, in una lotta senza coscienza e senza patto.



Dunque, una modalità di agire e di rapportarsi agli altri scandita dal narcisismo e dall’io minimo che hanno cassato del tutto la “coscienza infelice” della borghesia dell’800, portandoci al “politeismo dei valori” e al “tempo della prostituzione universale”, sbarre della “gabbia d’acciaio” di weberiana memoria: una forma dispersiva tipica della struttura economica e di quell’hobbesiano “homo homini lupus” finalizzato alla conquista finanziaria del mondo, ma anche e soprattutto polimero dell’industria culturale che della struttura stessa è come la confezione sottovuoto d’alluminio. L’atomizzazione, allora, apparterrà a maggior ragione alla pubblicità, alla fotografia, al consumo, ai reality, ai non-luoghi del commercio, a quella che Bodei chiama “identità da supermercato, composta da frammenti di esperienze incoerenti, da desideri fiacchi o appena sbozzati e da idee estemporanee o d’accatto”, dunque a tutte le Sirene che silenziosamente lapidano l’individuo esercitandolo al futile e diradando quel principio di irrealtà che solo sovrintende ad un’apertura all’alterità e al divenire.



Quella che Fusaro intende come una ripresa del vecchio “idealismo” e che Varoufakis – che scrive nel suo libro una sorta di storia dell’economia per la figlioletta adolescente -, riprendendo la nota metafora “farmacologica” di Matrix, definisce la “pillola rossa” della verità e dello smascheramento delle menzogne dei Potenti.



Diego Fusaro “Europa e Capitalismo” (Mimesis, pagg. 141, euro 14)