Gaia Vince al Festival delle scienze: «Diventeremo tutti nomadi per i disastri climatici»

L’autrice britannica che sabato 20 sarà all'Auditorium nel suo libro spiega come adattarci al riscaldamento globale. Emigrando in Artico

Gaia Vince al Festival delle scienze: «Diventeremo nomadi per i disastri climatici»
di Riccardo De Palo
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Martedì 16 Aprile 2024, 06:20 - Ultimo aggiornamento: 07:55

«Stiamo affrontando un’emergenza che coinvolge l’intera specie umana. Possiamo sopravvivere, ma per farlo sarà necessaria una migrazione pianificata e ben organizzata, su scala planetaria». Gaia Vince è una scrittrice e giornalista, con cittadinanza britannica e australiana, di origine ungherese. Ed è stata la prima donna a vincere nel 2015 il premio della Royal Society per i libri scientifici. Nel suo ultimo saggio, Il secolo nomade, come sopravvivere al disastro climatico (Bollati Boringhieri), racconta gli scenari futuri. Gaia Vince sarà sabato 20 alle ore 21 sul palco del Festival delle scienze di Roma, all’Auditorium Parco della Musica, per parlare con Marco Cattaneo di come gestire l’emergenza climatica.

Come è nato “Il secolo nomade”?

«Da un senso di frustrazione, perché per troppo tempo la narrativa sui cambiamenti climatici è stata governata dall’urgenza di mitigarne gli effetti, e di mantenersi su un aumento di 1,5 gradi.

E invece bisogna anche parlare di come adattarsi a questa situazione».

Lei scrive appunto che la razza umana ha sempre scelto di migrare, e che questa è la chiave del suo successo. Perché?

«Gli esseri umani sono emersi in Africa assieme ad altre specie, tutte stanziali nella foresta pluviale. Noi, invece, ci siamo diffusi su scala globale, in qualunque ambiente. Siamo in Antartide come nella Stazione spaziale internazionale, nei deserti e nei ghiacci artici. Il successo degli esseri umani deriva proprio da queste migrazioni, da questa diversità di geni, di culture, di linguaggi. Le specie competono per sopravvivere, ma per raggiungere i loro obiettivi devono cooperare. Specialmente gli umani».

Quindi siamo nomadi per definizione?

«Chi collabora di più, ottiene il meglio. Questa collaborazione non si basa solo su gruppi che condividono gli stessi geni. Lo abbiamo visto nelle formiche e nelle api, esempi di società molto collaborative. Ma si tratta, in sostanza, di cloni degli stessi individui. Invece gli umani cooperano continuamente con persone estranee. È questo il segreto della nostra forza. La migrazione è sempre stata una tecnica di sopravvivenza in presenza di pericoli».

Lei pensa che dobbiamo cominciare a prepararci al peggio, per quando la temperatura crescerà a dismisura?

«Forse supereremo anche i due gradi nel corso dei prossimi due anni. Ed entro il 2100 dovremmo attestarci a 3-4 gradi in più rispetto alla temperatura media precedente alla rivoluzione industriale. Molte delle aree più popolose del mondo diventeranno invivibili».

Anche l’Italia?

«Certo, in Italia c’è stata l’alluvione in Emilia Romagna, ci sono state siccità e incendi, il Sud si sta spopolando. L’Italia è interessante, perché rappresenta un microcosmo di cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi anni, di quanto siamo vulnerabili. C’è già una crisi nella produzione di vino, di olio, di frumento. Se non riuscirete a ottenere derrate alimentari dal resto del mondo, rischierete una carestia».

Quindi il Nord del mondo sarà meta dei nuovi migranti?

«Possiamo vedere quali sono le proiezioni in termini di vivibilità. E vediamo che ci sono molte più aree ospitali nell’estremo Nord. Le città in questa zona diventeranno molto più densamente popolate, come sta già accadendo in Canada. Dovremo anche creare nuove città e adattarci ai movimenti della popolazione. E cercare diversi tipi di agricoltura, in aree sempre più aride o soggette ad alluvioni. E quando parliamo di migrazione, si tratterà di spostamenti non soltanto di famiglie, ma anche di risorse. Sarà l’intera umanità, non solo i singoli individui, a puntare verso Nord».

Quindi una città oggi microscopica come Nuuk, maggiore centro della Groenlandia, diventerà una megalopoli?

«L’Artico sarà una grande area di crescita. E la Groenlandia è interessante perché è molto ricca nei settori dei minerali, della produzione di energia e della pesca. Ed è anche strategicamente importante: è una cerniera tra America, Asia ed Europa».

Chi sono i “quattro cavalieri dell’Apocalisse”, come lei scrive?

«I motori climatici che spingeranno la gente a migrare. Sono il fuoco, il caldo, la siccità e le alluvioni. Stanno già causando lo spostamento di decine di milioni di persone. Ha visto il pronunciamento della corte europea dei diritti dell’uomo sulla Svizzera? Ha preso le parti di coloro che sostenevano che il loro governo non faceva abbastanza contro i cambiamenti climatici, sostenendo che i loro diritti umani sono stati violati. Ci sono aree del mondo, in Asia e in Sud America, in cui gli agricoltori lavorano di notte perché di giorno fa troppo caldo. Al momento la maggior parte delle migrazioni avvengono all’interno dei confini nazionali, ma presto dovranno spostarsi anche oltre frontiera».

Come affrontare una simile prospettiva?

«Abbiamo bisogno di pensare in maniera completamente differente ai movimenti degli esseri umani e alle frontiere nazionali. Dobbiamo pensare che è normale muoversi alla ricerca di sicurezza. Invece di pensare di lasciare tutti fuori dai propri confini, cosa che non funziona, bisogna pensare a dei sistemi per regolare questa situazione. In termini economici, con pragmatismo e razionalità. Pensare a questo cambiamento in termini di opportunità di crescita economica e mettere in piedi delle politiche che evitino conflitti».

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