Non ci sono più le vecchie bugie di una volta

di Marco Pasqua
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Lunedì 4 Settembre 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 10:15
“Mentire, con questi social,
sta diventando un’arte sopraffina #noprivacy”

@fabrizioavall1

Non è facile mentire, al tempo dei social diffusi (e imposti). Nell’era pre-smartphone bastava un “sono a casa” per sedare le ansie della fidanzata di turno o il classico “mamma sono a studiare all’università” per dare il contentino al genitore preoccupato. No, oggi la menzogna, grazie a quelle armi di controllo delle masse chiamate Facebook e, soprattutto, Instagram, è diventata un’arte, anzi, una scienza complessa, che si affina inganno dopo inganno. Gli investigatori privati sono ormai disoccupati, spesso sono i tag a fare tutto. A confermare o smentire. A che serve geolocalizzarsi nella propria casa, in Prati, se poi l’amico ti tagga a piazza San Calisto? Inutile pubblicare una propria foto in un’aula, se una storia al Pigneto mostra quel ragazzo studioso intento a bere con gli amici (festeggia l’esame non dato?). E poi, a che serve mentire, se un interlocutore può chiedere l’invio della posizione, senza via di scampo.

I più esperti queste cose le sanno: “Non taggarmi, mi mostro solo di schiena”. “Ma posso almeno metterti in una storia su Instagram, senza citarti?”: “no, perché le mie scarpe si riconoscerebbero”, risponde il furbetto 2.0. Per non parlare di quelli che creano addirittura doppi profili per filtrare i contenuti. Trucchi che si imparano da giovani, quando si inizia a scegliere, quotidianamente, tra sincerità e menzogna, se far parte del partito di quelli che non si nascondono in nessuna foto o di quelli che, invece, selezionano con cura meticolosa ciò che viene dato in pasto di sé sui social, a seconda della narrazione che si vuol dare della propria giornata/vita. 

marco.pasqua@ilmessaggero.it
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