Lo smartphone acceso alla Camera e a teatro

di Pietro Piovani
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Giovedì 5 Febbraio 2015, 00:07 - Ultimo aggiornamento: 17:30
Poi ha tirato fuori il cellulare e si è messa a giocare a candy crush, vi

rendete conto, a teatro


@psychorianna



Se all’Argentina o al Quirino o all’Ambra Jovinelli o in qualunque altro teatro di Roma siete seduti in galleria, provate ad affacciarvi sulla platea mentre lo spettacolo va in scena. Sotto ai vostri occhi si presenterà un’immagine suggestiva: tante piccole fiammelle che brillano nel buio. Non sono candele, ma i display dei telefonini. È un dato statistico: su cinquecento persone sedute in poltrona per assistere a una rappresentazione, almeno una decina non possono fare a meno di dare una sbirciatina al cellulare per leggere l’ultimo sms, controllare cosa si dice su Facebook, fare una ricerchina su Google.



Ormai da diversi anni (il primo a segnalarlo è stato il giornalista statunitense Thomas L. Friedman) la società della comunicazione si è trasformata in società dell’interruzione. Siamo sempre connessi, e al tempo stesso non lo siamo mai, perché a ogni messaggio – il monologo di un attore sul palcoscenico, una canzone trasmessa alla radio, la confessione di un amico, il discorso di un collega – dedichiamo un’attenzione parziale e intermittente.

Del resto anche nel luogo più sacro della Repubblica, il Parlamento, deputati e senatori si lasciano ipnotizzare dai loro dispositivi elettronici anche mentre sono inquadrati in diretta televisiva.



Il teatro fino a qualche tempo fa era rimasto l’ultimo spazio dove ancora ci sentivamo obbligati a spegnere tutto per concentrarci nell’ascolto. Ora non è più così, almeno non per tutti. I drogati della connessione non si accorgono che in quella sala buia si può scaricare una fantastica applicazione con immagini in 3D ad altissima definizione, chiamata, appunto, teatro.

pietro.piovani@ilmessaggero.it