Roma, usavano l'auto di servizio per andare in vacanza: tre agenti penitenziari finiscono a processo

Roma, usavano l'auto di servizio per andare in vacanza: tre agenti penitenziari finiscono a processo
di Michela Allegri
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Venerdì 29 Aprile 2016, 08:24 - Ultimo aggiornamento: 09:33

Hanno utilizzato l'automobile di servizio per andare in vacanza in Campania e in Emilia Romagna, o più semplicemente per rientrare a casa ogni sera, una volta terminato il lavoro. Per questo, un ex generale e due agenti del corpo di polizia penitenziaria di Rebibbia, sono finiti sotto processo per peculato. Uno di loro è accusato anche di truffa. Per il pubblico ministero Luigi Fede, che ieri ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio di fronte al gup, il poliziotto avrebbe finto di timbrare il cartellino in entrata e in uscita dal luogo di servizio, modificando le date e intascando uno stipendio maggiorato e non dovuto. Le irregolarità contestate dalla Procura si sarebbero protratte per almeno due anni: dal 2010 al 2012.
 
I REATI
All'epoca, uno degli imputati rivestiva la qualifica di generale di brigata del corpo degli agenti di custodia di Rebibbia e, in ragione della sua posizione, aveva diritto a un'automobile con autista. Per gli inquirenti, l'agente si sarebbe "appropriato" del veicolo «per finalità estranee al servizio» come si legge nel capo d'imputazione. Il pm gli contesta di essersi fatto accompagnare quotidianamente a Ciampino, nel centro residenziale dei padri Carmelitani dell'istituto Madonna del Carmine, dove risiedeva. Così, è scritto negli atti, il poliziotto avrebbe «indebitamente usufruito della vettura, del conducente e del carburante necessario per gli spostamenti». Anche l'autista del generale è finito a processo per peculato: avrebbe usato la macchina di servizio per viaggi privati, comprese trasferte in Campania e in Emilia Romagna. Per l'accusa, avrebbe anche addebitato il conto dei caselli autostradali sul telepass in dotazione al Corpo. Un terzo imputato è accusato anche di truffa. Dal giugno 2010 all'aprile 2012 avrebbe infatti "taroccato" i fogli di presenza, modificando gli orari di entrata e di uscita dal luogo di lavoro e ottenendo un ingiusto profitto «pari alla retribuzione per straordinari non dovuti». Per giustificarsi di fronte ai superiori ha raccontato che il suo badge elettronico era guasto e fu costretto a compilare a mano la documentazione.
 
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