LE POSIZIONI
Niente scissione, allora? La risposta è “nì”, a sentire Stefano Fassina, altro riferimento di peso della minoranza, secondo il quale la divisione è nelle cose e, quel che è peggio, è voluta dallo stesso Renzi. «Una scissione è in atto. Abbiamo incontrato molte persone che ci hanno detto che hanno lasciato il Pd. Oggi dico che la dovremmo evitare.
Ma è il presidente del Consiglio che alimenta la contrapposizione, ricercando un nemico. Noi vogliamo correggere i provvedimenti del governo che non funzionano, che non vanno a ridurre la precarietà, non abbiamo altri obiettivi. Se il presidente li ha è un problema per tutto il Pd, non soltanto per la minoranza. Spero che, oltre a non avere un partito di reduci, non abbiamo un partito soltanto di amministratori delegati o di grandi finanzieri con residenze nei paradisi fiscali», ha replicato ieri caustico Fassina, annunciando che «senza correzioni significative su tutti i punti della delega lavoro», non voterà il Jobs Act.
E alle misure sul lavoro all'esame della Camera, si è riferito anche il presidente della commissione Lavoro, Cesare Damiano, la voce forse più coerentemente critica verso le nuove misure in materia di occupazione: «La politica deve ascoltare la voce di chi ha manifestato in piazza San Giovanni: lavoratori preoccupati per il loro futuro, giovani che non trovano occupazione e pensionati che non riescono ad arrivare a fine mese. Molti hanno votato Pd e fanno parte di quel 40,9% delle elezioni europee. Una parte ha votato Renzi alle primarie, sono cittadini delusi che chiedono cambiamenti all'azione di governo: una legge di Stabilità che sia di sostegno alla crescita e che dia risorse realmente aggiuntive per proteggere con gli ammortizzatori sociali anche i giovani precari; un Jobs Act che non smantelli l'articolo 18 e lo Statuto dei lavoratori».
IL CONFRONTO
Secca la controreplica di Giuliano Poletti, ministro del Lavoro: «Il cuore del Jobs Act non si tocca - ha detto - dobbiamo superare la doppia morale per cui ci teniamo quello che abbiamo mentre milioni di persone non lo avranno mai». Il dibattito è aperto. Gennaro Migliore, appena trasmigrato da Sel nel Pd, proprio dal palco della Leopolda ha messo sull'avviso: «La piazza di Roma è una grande risorsa democratica: se uniremo le forze della democrazia saremo un argine al populismo». Un punto su cui, via twitter, ha manifestato qualche dubbio Giuseppe Fioroni: «Un Pd da Landini a Serra, non è maggioritario, ma totalitario nella confusione, magari delle estreme potremmo farne a meno, e saremmo più uniti».