Legge elettorale, Canfora: vogliono la società bipolare ma così si finisce dritto a Marx

Luciano Canfora
di Mario Ajello
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Mercoledì 29 Gennaio 2014, 08:50
Professor Canfora, le piace la legge elettorale che si sta delineando?

La discussione si sta avviando malissimo. E’ l’insieme che non va. Ci sono tre o quattro punti, di metodo e di contenuto, che non mi convincono. Ma prima, vorrei segnalare un paradosso. Che in qualche maniera riguarda anche Karl Marx».



Marx? Ma che cosa c’entra la buonanima con l’Italicum?

«Marx aveva previsto che la società si sarebbe polarizzata in due blocchi: quello capitalistico e quello proletario. La storia invece è andata in direzione opposta, e ci è stato detto e ridetto in questi anni che le società moderne sono complesse e frastagliate. Dunque, dovremmo dare voce a tutta la complessità del corpo sociale, politico, culturale».



La legge elettorale questo non lo fa?

«Viene recuperato Marx, per semplificare lo scenario elettorale. Ma le assurdità non finiscono qui».



C’è quella marxista e poi quale altra?

«Il primo punto, e qui parliamo di una questione di metodo, è che è paradossale che il segretario del Pd dichiari apertamente di aver preso ordini dal leader dell’opposizione. Ma così è accaduto, quando Renzi ha detto: io volevo le preferenze ma Berlusconi ha detto di no e quindi niente preferenze».



Però le preferenze sono ancora in ballo, professore.

«Quello che si è visto - ed eccoci a un altro punto critico - è che fino all’altro giorno il Pd aveva prodotto un centinaio di emendamenti. Ma poi ha ricevuto dal segretario l’ordine di cancellarli, e li ha ritirati tutti».



Ma non è giusto che un partito segua le indicazioni del suo leader?

«Non lo è. Questo tipo di comportamento porta a chiedermi: ma ci credono o non ci credono i parlamentari del Pd in quello che fanno? Erano in malafede quando hanno elaborato le proposte di modifica o sono in malafede adesso che se le sono rimangiate?».



Insomma, anche per lei siamo al Disastrellum o al Papocchium, secondo le definizioni del professor Sartori?

«Sartori ha ragione quando dice che dobbiamo respingere qualsiasi trucco mirante a trasformare una minoranza in una maggioranza. Siccome si sta discutendo se il premio di maggioranza scatta quando si raggiunge il 35 o il 37 o il 38 per cento, mi viene in mente che la cosiddetta e improvvida legge truffa del 1953 - bocciata dagli elettori il 7 giugno di quell’anno - dava il premio alla lista o coalizione che avesse superato, sia pure di un solo voto, il 50 per cento dei suffragi. Quindi, quella attuale è la legge della truffa aggravata».



Non è la legge che garantisce un minimo di governabilità?

«Ma figuriamoci. Io credo che bisogna smetterla di escogitare leggi elettorali, più o meno alchemiche, fondate sul presupposto seguente: siccome prevedo il risultato, devo provvedere a truccarlo!».



Il professor Canfora si scopre inatteso paladino dei partiti bonsai?

«C’è una litania che li riguarda. Viene sempre ripetuto che i piccoli partiti disturbano e che bisogna farli scomparire con ogni mezzo violento di questo tipo. Ma allora mi domando: sono state negative formazioni politiche come il Pri? Ci mettiamo a sparare su Ugo La Malfa? Chi abbia un senso abbastanza equilibrato della storia italiana del dopoguerra non può non riconoscere che, rispetto alla tendenza democristiana ad assumere un ruolo egemonico, i piccoli partiti svolsero un ruolo positivo».



Vanno salvati Sel, Udc, Lega, Ncd?

«Forza Italia sta tentando di rimangiarsi Alfano. Ha cominciato con l’antipasto De Girolamo e vuole l’intero pasto. Sull’altro versante, è evidente che si tratta di fagocitare gli avanzi a sinistra. Altrimenti, non si capisce come il Pd possa sperare di arrivare al 38 per cento. Siamo di fronte a un fenomeno ideologico e politico nuovo: il renzismo-leninismo».



Meglio la palude?

«Meglio tornare alla preferenza unica, il sistema che scaturì dalla vittoria nel referendum del giugno del ’91 e che eliminò ogni rischio di cordate truffaldine. Preferenza unica, in un quadro proporzionale. E con lo sbarramento al 4 per cento, come prescrive l’ottima sentenza della Consulta».



Renzi dice: o si fa la legge o si va a votare. Lei condivide almeno questo?

«Neanche questo. Siamo all’assurdo. Semmai, si va a votare se passa una legge elettorale nuova. Allora sì che diventa quasi moralmente necessario andare alle urne. In realtà, parlando di elezioni, Renzi ricatta i parlamentari, spaventati di perdere il seggio anzitempo».

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