Schlein e la soglia del 20%: «Non la fisso, porta male. I voti al Pd, non a me»

Dalla segretaria dem affondo su Meloni: «FdI non ha un programma, solo un nome»

Schlein e la soglia del 20%: «Non la fisso, porta male. I voti al Pd, non a me»
di Andrea Bulleri
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Martedì 30 Aprile 2024, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 08:05

Nessun obiettivo minimo per il successo alle Europee: «L’asticella porta iella», rimeggia. E, soprattutto, niente manifesti «vota Elly». Anche se di fatto, proprio come per la premier, anche per la leader del Pd si potrà scrivere sulla scheda soltanto «Elly», invece che Schlein. Almeno al Centro e nelle Isole, le due circoscrizioni in cui la timoniera del Nazareno sarà in corsa. «Non chiedo il voto per me, ma per il Pd», mette in chiaro lei. Eccola, la risposta della segretaria democrat alla mossa del cavallo della sua avversaria. Quello «scrivi Giorgia» lanciato alla convention pescarese di Fratelli d’Italia dalla presidente del Consiglio, per accorciare le distanze con il suo popolo e fare incetta di preferenze nelle urne dell’8 e 9 giugno.

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Il nome

Non Meloni ma «Giorgia», dunque.

Allo stesso modo, grazie al medesimo “escamotage” della legge pensato per non penalizzare chi ha nomi complessi o è conosciuto con altri appellativi, non sarà necessario compilare per intero il nome della leader dem, Elena Ethel Schlein, e basterà un “Elly”, il suo soprannome. «Porto il nome delle mie due nonne ma tutti mi hanno sempre chiamata Elly», spiega lei a Sky Tg24, prima tappa dell’offensiva mediatica che la segretaria ha in programma per i giorni a venire (in giornata seguono L’Aria che Tira su La7 e Metropolis sulle piattaforme Gedi, mentre oggi si replica con DiMartedì). In ogni caso, spiega, «ho sempre fatto le mie campagne elettorali col cognome: non essendo ancora particolarmente nota, c'era il problema delle contestazioni». Tanto che nel 2014, da candidata alle Europee, la futura segretaria lanciò pure un hashtag, #siscriveschlein, rispolverato sei anni più tardi alle regionali emiliane. «Io faccio sempre le campagne dicendo si scrivere Schlein», ribadisce. E sferra un colpo a Meloni che «chiusa nel suo palazzo» descrive «il Paese delle meraviglie»: «Credo che sia un valore che nel Pd ci sia pluralismo e non si sia tutti schiacciati dietro un nome». Un aspetto questo «inquietante, non hanno un programma e il programma diventa il nome: sotto al nome niente» (seguono le repliche da via della Scrofa: «Forse non ha seguito la convention di Pescara dove abbiamo parlato solo del programma»).

Polarizzare lo scontro in un duello con Meloni sì, insomma, ma non troppo. Anche per non ridare fuoco alle polveri delle polemiche interne, ripartite con la grancassa quando Schlein (d’accordo col leader della minoranza dem Stefano Bonaccini) ha provato a mettere il suo nome nel simbolo, e poi è dovuta tornare indietro. «Da sinistra non si personalizza – spiega – da sinistra c'è in campo una bella squadra, forte e plurale. Io mi sono messa a disposizione per dare una mano». In ogni caso, il volto sui manifesti per le Europee che verranno affissi in tutta Italia (ieri mattina al centro di una riunione ristretta al Nazareno) sarà quello di Schlein, accompagnato dallo slogan «L’Europa che vogliamo». I suoi del resto ne sono convinti: «Elly è la nostra carta vincente». Obiettivo: superare il 20%, e puntare al 22,7 incassato cinque anni fa da Nicola Zingaretti. Anche se la leader ripete di non voler fissare asticelle: «Non ne metto, portano iella». L'obiettivo semmai è «riportare alle urne tanti elettori che non vanno più a votare: se il mio impegno diretto può aiutare, ne sono felice». Per riuscirsci si punta su cavalli di battaglia tipo sanità e salario minimo. Su cui oggi i dem con M5S e Versi-Sinistra depositeranno in Cassazione l’annunciata proposta di legge di iniziativa popolare: «Sotto i 9 euro l’ora non è lavoro ma sfruttamento», il mantra.

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L’impegno

Impegno in prima persona, quello di Schlein, che però non è andato giù a Romano Prodi. Col quale resta la divergenza di vedute. Per la segretaria il professore rimane «un punto di riferimento: lo ascolto sempre». Ma «meglio essere francamente non d'accordo che fingere e poi pugnalare alle spalle, come spesso nel partito è stato fatto», punge. E poi, alza le spalle Schlein, chi la pensa come Prodi «ha la possibilità di votare altre candidature. Dicendo la verità ai cittadini (ovvero che lei non lascerà il Parlamento, ndr) non ti sbagli».

Intanto per i dem scocca l’ora della vidimatura ufficiale delle liste, oramai complete, che arriva nel corso di una direzione online convocata ieri pomeriggio alle 17,30. Archiviati gli piscodrammi per il nome nel simbolo, il casus belli stavolta è la ricandidatura a Bruxelles, per il quinto giro, di Patrizia Toia nella circoscrizione Nord-Ovest, deputata dal 1995 e in Ue dal 2004. Un nome ripescato dal cilindro (Toia, europarlamentare uscente, non era stata inizialmente inclusa tra i ricandidati) per assicurarsi un pezzo di voto cattolico del Nord. Che però fa imbufalire una parte della minoranza, tanto più per quelle frasi sul «rinnovamento di classe dirigente» in corso pronunciate da Schlein a Metropolis. «Un blitz imposto dalla segretaria, a 24 ore dal gong della presentazione delle liste», si mugugna. «Alla faccia del rinnovamento».

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