Cantiere centrodestra/ L’importanza in politica di una credibile alternativa

di Marco Gervasoni
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Lunedì 12 Settembre 2016, 00:05
Un sistema politico senza alternanza può esistere, ma in genere si inceppa, e porta all’autodistruzione - come insegna la storia della Prima Repubblica. Senza che gli elettori abbiano la possibilità di scegliere tra diversi poli, chi sta al governo in genere non dà il suo meglio se non incalzato dal timore di perdere le elezioni. Per evitare tutto questo è indispensabile che vi sia una alternativa.

Ma questa ci sarebbe, dirà qualcuno, sono i 5 stelle. Chi però si immagina un Di Maio alla guida del governo e un Di Battista alla Farnesina? E del resto, il crollo nei sondaggi degli ultimi giorni, se confermati, fanno capire che forse il M5 stelle non è in grado neppure di reggere a lungo il ruolo di principale opposizione. È indispensabile quindi che se ne crei una vera, in grado di incalzare, e un giorno, se premiata dagli elettori, di sostituire il Pd.

In questa direzione sembra andare l’iniziativa di Berlusconi di affidare a Stefano Parisi una sorta di reset del centro-destra. Tanto più che uno dei responsabili del disastro romano è a suo modo questa famiglia politica, sia con il fallimento di Alemanno sia soprattutto con la suicida divisione tra Forza Italia e Giorgia Meloni nelle elezioni per il Campidoglio, che ha spianato la strada a Virginia Raggi.

Il riavvio di Parisi dovrebbe gettare le fondamenta per elaborare una nuova proposta politica “liberal-popolare”, cioè attenta alla cultura di mercato, in grado di sbloccare un Paese troppo irrigidito; senza perdere l’impostazione solidaristica propria del centro-destra. Dalla convention del prossimo fine settimana, la speranza è perciò che possano nascere idee nuove: sono infatti queste oggi a scarseggiare, mentre gli uomini e le donne giuste, alla fine si trovano sempre, una volta elaborata una piattaforma coerente e valida.

Per arrivare dove? Ma a rendere di nuovo competitivo il centro-destra per la guida del Paese, magari non subito, ma in modo da incalzare Renzi e il governo, con proposte che non siano demagogiche. A cominciare dalla questione del referendum sulla riforma Boschi. Non solo molte delle idee presenti nella riforma fanno parte della cultura politica del centro-destra, che in ogni caso l’ha votata in larga parte. Ma soprattutto perché, a oggi, un’eventuale vittoria del No rafforzerebbe solo i 5 stelle, facendoli uscire dal pantano in cui si sono infilati a Roma. Vogliono davvero Parisi e Berlusconi regalare su un piatto d’argento a Grillo e alla Casaleggio Associati la palma della sola alternativa a Renzi? E dopo un tale scenario, cosa resterebbe della possibilità di reset di Parisi, della sua piattaforma liberal-popolare, a fronte del dilagare della demagogia?

Certo, si capiscono le ragioni per cui Parisi non può invitare a votare Sì. Una parte di Forza Italia, che lo avversa pesantemente lo farebbe a pezzi. Ed egli non riuscirebbe neppure a tenere quel filo di dialogo con la Lega, attraverso Maroni. E senza la Lega, niente alternativa credibile. Ma se Parisi non può pronunciarsi per il Sì, sarà importante vedere come graduerà la posizione sul No. Del resto, la vittoria di misura della riforma costituzionale potrebbe diventare lo scenario migliore per il nuovo progetto del centro-destra. Gli darebbe tutta la credibilità per contribuire a una modifica dell’Italicum, che lo stesso Renzi ora auspica. E lascerebbe a Parisi il tempo necessario al suo progetto e a coloro che vorranno seguirlo per farsi conoscere dal Paese. Pareri che autorevoli saggi del berlusconismo, come Giuliano Urbani e Marcello Pera, che si stanno spendendo per il Sì, hanno forse già fatto avere a Parisi. Per non lasciarsi portare via da una corrente, in fondo alla quale c’è solo l’avventura senza ritorno dei grillini.

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