Pericolo scampato. L’onda sarda, la remuntada del campo largo Pd-Cinque Stelle contro il centrodestra al governo, si infrange in Abruzzo. È mezzanotte passata quando ai piani alti del governo si abbandonano gli ormeggi. Le prime proiezioni di Noto sono nette. Marco Marsilio stacca Luciano D’Amico di nove punti: 54,3 a 45,7 per cento. Game over. Il timore che ha percorso i leader di centrodestra Meloni, Salvini, Tajani e Lupi in questa domenica di attesa febbrile, trascorsa da separati in casa, ognuno per sé, lascia spazio a un brivido di euforia. La roccaforte abruzzese di Marsilio, il più meloniano dei governatori, inner circle purissimo della premier, esce intatta dall’assalto del campo larghissimo a guida Conte-Schlein.
I TIMORI
Pensare che i pronostici della vigilia raccontavano un testa a testa.
Quaggiù, sull’Adriatico, l’onda sarda non è arrivata. «Un episodio»: così bollano ora la vittoria del centrosinistra nell’isola dei Quattro mori che due settimane fa ha fatto sussultare Palazzo Chigi. La crepa aperta dalla sconfitta in Sardegna nel mito dell’invincibilità della destra meloniana, per ora, non si trasformerà in un crepaccio. Per la premier era questo il vero risultato da centrare. Dopo l’inciampo sardo ai piani alti del governo ci si è accorti che un ruzzolone alle prossime tornate regionali - ora l’Abruzzo, poi la Basilicata e in vista il Piemonte - sarebbe potuto arrivare lontano. Fino al voto europeo, dove invece inciampi non sono ammessi: questo sì, ragionano, può avere un impatto direttissimo sulla tenuta del governo e il destino della legislatura. Ecco allora il mantra della vigilia, un po’ scaramantico: «Sono le Europee il vero test». La mobilitazione imposta dalla leader è stata totale: tutti in Abruzzo. Ministri, sottosegretari, attivisti e staff. Comizi e passerelle a go-go, la foto di gruppo di Meloni, Salvini e Tajani sotto il diluvio di Pescara. La retorica militare della premier: «Mi metto l’elmetto, io ci dormo». E poi ancora ieri, i pullman con gli elettori fuorisede, le chat whatsapp, la caccia all’ultimo voto. Un’adunata che è servita a puntellare il bis di Marsilio. E ha rivelato la vera posta in gioco. Gli occhi, si diceva, sono già puntati sul voto spartiacque di giugno per rinnovare il Parlamento Ue.
ROTTA SU BRUXELLES
Per Meloni è un all-in. Spera in un bagno di consensi la premier - e per questo è determinata a candidarsi - per sedersi più forte al tavolo. A Bruxelles, per garantire un sostegno esterno a una Commissione Ue guidata da popolari e socialisti e, così spera, dalla sua “amica” Ursula von der Leyen. Ma anche a Roma, per tenere nei ranghi gli alleati. Specie la Lega e Salvini, sempre più irrequieti. Anche per il “Capitano” la trafila di voti locali è una ragion di Stato. Può rafforzare la sua leadership nel partito, o indebolirla se il Carroccio non riuscisse almeno a pareggiare, da qui alle Europee, l’8 per cento delle politiche. Il sorpasso di Forza Italia, che dopo le urne di ieri prende forma, non aiuta a chetare le acque. È una biglia su un piano inclinato, il voto abruzzese che in una notte ha infranto i sogni di ribalta del centrosinistra. Chissà fin dove può rotolare.