Addio all'ex premier israeliano Sharon: il generale che vinse le guerre e inseguì la pace

Addio all'ex premier israeliano Sharon: il generale che vinse le guerre e inseguì la pace
di Fabio Isman
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Domenica 12 Gennaio 2014, 10:42 - Ultimo aggiornamento: 13 Gennaio, 09:49

L'ex premier israeliano Ariel Sharon morto all'et di 85 anni. Era in coma dal gennaio del 2006 a seguito. di una grave emorragia cerebrale. la fine di un'era titolano online i media israeliani nel riferire la notizia della morte di una delle figure pi controverse della storia di Israele. Era nato il 26 febbraio 1928 nella cooperativa agricola di Kfar Malal, nel Mandato britannico della Palestina (oggi Israele), da una famiglia di ebrei lituani immigrati. Proveniente dai ranghi dell'esercito, dove raggiunse il grado di generale, stato l'undicesimo primo ministro di Israele: ha ricoperto tale incarico dal marzo 2001 all'aprile 2006

di Fabio Isman

Dopo averne vinte tantissime, forse più di chiunque, Ariel Sharon ha perso le ultime due battaglie: le più importanti.

Quella per non venir ricordato soltanto come un grande soldato, a volte troppo ardimentoso e perfino un po’ incurante degli ordini; e quella che ogni mortale combatte per la vita. In quest’estremo conflitto, ha lottato davvero strenuamente, come sempre: gli ultimi otto anni, un tronco a letto; eppure non domo nel fisico. Almeno, fino a ieri.

UOMO DI GUERRA

Con l’ictus di otto anni fa Sharon, detto “Arik il rosso” (il soprannome non derivava certo dalle sue propensioni politiche, bensì dal colore del berretto da parà), aveva però perso anche l’altra battaglia, tutta sua: non soltanto per assicurare un futuro più tranquillo e stabile al Paese (che peraltro nemmeno era ancora tale), dov’era nato 86 anni fa, il 26 febbraio 1928; ma anche per non essere in eterno solo l’uomo della guerra, il “Leone” che sfida chiunque: perfino i superiori.

O solo il più giovane generale israeliano (lo era già a 27 anni). Il più ardimentoso: che nel ’56, ignorando gli ordini, dà e vince la battaglia al passo di Mitla (38 israeliani morti e 120 feriti: la più cruenta). Nel ’67, compie tali sfracelli nel Sinai (il bilancio egiziano è di 10 mila morti, 12 mila catturati, 600 tank perduti) da obbligare alle dimissioni Gamal Abdel Nasser. E nel ’73, conflitto del Kippur, con 12 mila uomini e 300 tank sbarca oltre il Canale di Sue e vince una guerra che sembrava persa; ma nelle 12 ore tra l’accordo e l’armistizio, avanza il più possibile verso Il Cairo. Forse anche troppo: a soli 90 chilometri, e stentano a fermarlo. Così, consolida il suo mito straripante.

IL LIBANO

Lo offuscheranno, lo vedremo, solo l’invasione del Libano e le stragi nei campi palestinesi di Sabra e Chatila (1982). Stava cercando di cambiare questa sua immagine pubblica, e due ictus consecutivi, dal 18 dicembre 2005 al 4 gennaio 2006, gli sono stati fatali. Gli hanno impedito di imporre alla politica israeliana la sterzata decisiva che diceva di volere: privata del suo carisma, la svolta è abortita.

Perché “Arik il rosso” era un vero eroe. Ma anche il più discusso, e politicamente tra i meno affidabili: un vero “principe dei falchi”. A 14 anni, già nel Palmach: unità d’élite dell’Haganàh, l'esercito clandestino. Capo di un battaglione di fanteria nella guerra d’Indipendenza, 1948: 54 morti in battaglia e lui ferito. Nel 1952, comanda una unità speciale e guida, 69 vittime, la rappresaglia in un villaggio oltre il Giordano. Questi gli esordi. Il clou, l’uomo della guerra lo gioca invece da ministro. Nel 1973, lascia l’esercito. Pareva vicino ai “padri fondatori”, Ben Gurion e Golda Meir: ma va al Parlamento con il Likud, il partito di destra. Da ministro all’Agricoltura, appoggia la pace con l’Egitto, che aveva sconfitto. Nel 1981, ha la Difesa. Menachem Begin, il premier, nel 1980 gliela aveva rifiutata (scrive Sergio Romano) dicendo ai suoi: «Quello lì è capace di far circondare dai tanks il mio ufficio».

LA STRAGE

Con Begin, pianifica l’operazione “Pace in Galilea”. Altro che pace. Fa uscire da Beirut i fedayn armati e recupera 4.330 camion d’armi (anche pesanti); ma per la prima volta Israele invade una capitale altrui. La radio ripeteva «arbaìm kilometrìm», 40 chilometri: non doveva avanzare di più Tsahal, l’esercito, stando ai propositi dichiarati. Invece no. Un’alleanza segreta con i maroniti della fragile Beirut; Begin, Sharon e il ministro degli Esteri Itzhak Shamir vedono l’ultima volta Bashir Gemayel, il presidente del Libano, due settimane prima che lo facciano saltare, 14 settembre 1982, con 50 chili di Tnt.

All’indomani di quella mattanza, i falangisti entrano nei campi. Forse, 800 morti. E Sharon, condannato da un «gran giurì» israeliano; non ha evitato le stragi: un’indiretta «personale responsabilità». La sua carriera sembra appannarsi, ormai per sempre.

GLI ACCORDI

Ma questo «falco» è come la chimera: risorge. L’anno dopo è ministro al Commercio; poi, all’Immigrazione e agli insediamenti dei coloni nei territori occupati (il vecchio ministro degli Esteri Abba Eban li qualificava «blasfemi»). Passa agli Esteri. Incontra Arafat negli Usa: ma non gli stringe la mano, come Rabin. Rabin è ucciso. Sharon, nel 2001, batte il laburista Ehud Barak. E solo un anno prima, l’ennesima sfida: una sua passeggiata sulla Spianata delle moschee a Gerusalemme innesca l'Intifada. Ma il “falco” capisce che, sparito Arafat, deve trovare l’accordo con i palestinesi. Cede loro Gaza, e fa rientrare i coloni: tra mille polemiche. Lascia il partito dove ha militato 38 anni. Ne fonda uno nuovo: favoritissimo nelle elezioni. Con lui, si schiera pure Shimon Peres: il leader laburista che non ha mai vinto (e ormai, fa il presidente dello Stato); è una rivoluzione politica. Ma l’ultima battaglia interseca quella per la vita: e entrambe, adesso, sono perdute.

Ora, si ritrova con il padre, polacco-tedesco; e la madre, russa, da cui è nato nel villaggio di Kfar Mahal, sotto il mandato britannico. Si chiamava Scheinermann: Sharon era la valle in cui viveva. E fa strano che un askhenazita, ebreo dell’Est Europa, sia divenuto (con Begin) il paladino della revanche sefardita, con cui gli ebrei mediterranei hanno trasformato la politica, per 30 anni, di Israele. Erano troppo discriminati; un leader sefardita spiegava: «Abbiamo appena 21 deputati, però 9 detenuti su 10». Sharon era un sabra, fico d’India: scorza dura, dolce solo nell’intimo.

Uri Dan, un suo amico, lo diceva malinconico, sentimentale, ma pieno di humour; da piccolo, suonava il violino; in casa ascoltava sempre musica. Un incidente d’auto gli porta via Margalith, prima moglie. Ne sposa la sorella minore, Lily: muore di cancro poco prima che Ariel diventi ministro. Tre figli; Gur non c’è più, e Omri s’è dimesso da deputato, per fondi illegali; pure Gilad ha avuto grane simili.

“Arik il rosso” a Capodanno andava a pregare, da Gur e dalle mogli. Ma con pochi attorno: perché voleva restareThe warrior, il guerriero. E’ il titolo dell’autobiografia. Davvero azzeccato, non c’è che dire.

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