Il killer chiede perdono: «Mio fratello mi aveva minacciato, volevo vendicarmi ma ho fatto una strage»

Il killer chiede perdono: «Mio fratello mi aveva minacciato, volevo vendicarmi ma ho fatto una strage»
di Leandro Del Gaudio
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Domenica 17 Maggio 2015, 10:55 - Ultimo aggiornamento: 18 Maggio, 09:53

«Sono pentito, chiedo perdono a tutti. Chiedo perdono a mia madre, ai miei nipoti, i figli del fratello che ho ucciso, ma anche a tutte le persone estranee alla mia famiglia che ho trascinato in questa tragedia». Eccolo Giulio Murolo, anzi, rieccolo 24 ore dopo la scena della sua resa con le braccia alzate e la maglietta tirata fino al collo per dimostrare di non avere armi nascoste. Nel chiuso della sala colloqui, incontra il pm Roberta Simeone, accanto al suo legale, l’avvocato napoletano Carlo Bianco.

Si avvale della facoltà di non rispondere, perché sostiene di non ricordare come siano andati i fatti, tanto dal rivolgere con insistenza al suo legale una domanda che sembra disarmante: «Ieri in questura mi hanno detto che ho sparato ad alcune persone, che le ho ferite, ma è vero? E come stanno? Mi dica avvocato sono fuori pericolo le persone che ho ferito?».

Domande scandite nel corso del primo incontro con il proprio difensore, anche se poi è lo stesso infermiere ad affidarsi a una dichiarazione spontanea puntualmente verbalizzata dinanzi al pm.

Poi si avvale della facoltà di non rispondere, ma non rinuncia a sottoscrivere poche parole che consentono comunque di aprire un primo contatto logico con il mondo esterno. Atteggiamento confuso, tanto da spingere il suo legale, il penalista Bianco a chiarire: «Murolo è una persona insicura e intimorita, ho intenzione di chiedere una perizia psichiatrica». Intanto, lì nella sala colloqui del carcere, silenzi rotti da lunghi momenti di pianto, il gelo delle prime ore lascia spazio a una disperazione sofferta: «Non ho un ricordo preciso, anche perché sono sotto effetto di tranquillanti, sono disperato, più passa il tempo più capirò e metterò a fuoco cosa è accaduto. Ho una sola scena davanti agli occhi, ed è la scena della paura».

Ed ha il terrore negli occhi, Giulio Murolo, come se lentamente stesse prendendo coscienza della sequenza di morte che si è abbattuta sulla sua famiglia, come se si rivedesse dall’esterno mentre entra ed esce dal balcone per prendere la mira, sparare a persone mai viste prima. Come se - al di là dell’effetto dei tranquillanti - cominciasse a prendere forma nella sua mente la dinamica di violenza che lo ha portato a uccidere il fratello e la nuora. Parla provando a vincere la balbuzie con cui convive da sempre, si commuove, poi si sforza di essere lucido. Fuori verbale, prova a dare una spiegazione a se stesso, tanto da ricostruire quelle scene di Secondigliano usando i verbi in terza persona. In sintesi, al suo legale, Murolo fa capire di aver avuto sempre un «rapporto burrascoso con il fratello, di aver consumato anche in altre occasioni violenti momenti di tensione». Anzi: a volerla dire tutta - chiarisce - quando «passi una vita a subire, ad essere dominato, prima o poi scoppi, non ce la fai più e scoppi».

Ed è quello che è accaduto due giorni fa in casa Murolo, quando la storia di quei panni stesi e di quei fili appesi allo stenditoio si è trasformata nell’ennesimo momento di litigio. È così che Murolo ha avuto paura, sì ha avuto paura, almeno secondo quanto trapela dal primo incontro con il legale. Spiega Murolo al penalista Bianco: «L’ho ucciso perché mi ha minacciato, ha impugnato il coltello e me lo ha messo al volto, ho avuto paura. Ho pensato: vuoi vedere che questo adesso prende e mi ammazza? Ho avuto paura e ho reagito, anche se non so cosa sia successo fino in fondo, come sono andate le cose, perché devo ancora fare chiarezza nella mia mente». Tensione a fette, vicenda complessa, anche alla luce del panico che scandisce il primo colloquio di Murolo, una sensazione che sembra soffocarlo, tanto da ripiombarlo mentalmente nell’inferno scatenato a Secondigliano.

«Non ricordo bene tutto - fa capire Murolo - ma sono sicuro che mi sono barricato in casa solo perché mi sentivo braccato. Avevo tutti addosso, sapevo che mi stavano braccando e mi sono difeso».