Strage a Napoli, l'infermiere killer: «Una vita a subire, poi sono scoppiato»

Strage a Napoli, l'infermiere killer: «Una vita a subire, poi sono scoppiato»
di Leandro Del Gaudio
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Domenica 17 Maggio 2015, 10:52 - Ultimo aggiornamento: 11:01
«Sono pentito, chiedo perdono a tutti. Chiedo perdono a mia madre, ai miei nipoti, i figli del fratello che ho ucciso, ma anche a tutte le persone estranee alla mia famiglia che ho trascinato in questa tragedia».

Eccolo Giulio Murolo, anzi, rieccolo 24 ore dopo la scena della sua resa con le braccia alzate e la maglietta tirata fino al collo per dimostrare di non avere armi nascoste. Nel chiuso della sala colloqui, incontra il pm Roberta Simeone, accanto al suo legale, l’avvocato napoletano Carlo Bianco. Si avvale della facoltà di non rispondere, perché sostiene di non ricordare come siano andati i fatti, tanto dal rivolgere con insistenza al suo legale una domanda che sembra disarmante: «Ieri in questura mi hanno detto che ho sparato ad alcune persone, che le ho ferite, ma è vero? E come stanno? Mi dica avvocato sono fuori pericolo le persone che ho ferito?».



Domande scandite nel corso del primo incontro con il proprio difensore, anche se poi è lo stesso infermiere ad affidarsi a una dichiarazione spontanea puntualmente verbalizzata dinanzi al pm. Poi si avvale della facoltà di non rispondere, ma non rinuncia a sottoscrivere poche parole che consentono comunque di aprire un primo contatto logico con il mondo esterno. Atteggiamento confuso, tanto da spingere il suo legale, il penalista Bianco a chiarire: «Murolo è una persona insicura e intimorita, ho intenzione di chiedere una perizia psichiatrica».