La tornata elettorale che inizierà domenica, non segna solo il destino di più di mille comune, 5 grandi città e una regione, la Calabria. Ma rischia di avere un impatto significativo anche sui singoli leader dei maggiori partiti che, pur avendo provato a non caricare di troppe aspettative il voto (spesso sminuendolo in vista della partita per il Quirinale e delle elezioni del 2023), ora si trovano a fare i conti con vicissitudini e necessità diverse.
La posta in palio per i leader: gli scenari
Enrico Letta
Il segretario dem è tra coloro che si giocano di più.
Giuseppe Conte
L'ex premier dovrà far sul serio questa volta. Lo spirito democristiano e attendista che spesso lo ha spinto a rimandare e temporeggiare fino a quando la scelta da compiere non fosse praticamente inevitabile, questa volta dovrà essere accantonato. Pur non pagando il peso di perdere due grandi città che avevano fatto sognare in grande il M5s - Torino e Roma - Conte si troverà a dover scegliere tra il sostenere il Pd ai ballottagi lì dove un accordo pre-elettorale è stato impossibile, e soprattutto a doverlo spiegare ai suoi. L'aver sottolineato fino all'ultimo che l'accordo non è scontato è infatti un'arma a doppio taglio e ora, con Di Maio già infastidito dalla concorrenza e dal tentativo di tagliare fuori i suoi dal comitato di garanzia, basta una mossa sbagliata per far crollare il castello di carte su cui si regge la sua leadership interna.
Silvio Berlusconi
A 85 anni Berlusoni è perfettamente consapevole che l'aver costruito un partito personale e non aver designato un erede rischia di disperdere, e in parte lo ha già fatto, l'enorme patrimonio elettorale di Forza Italia. E così il leader del fu "popolo delle Libertà" è l'unico a giocare in difesa. Incassare più che colpire. Difendere il territorio più che andare alla conquista. L'all-in, per dirla con la metafora pokeristica, è quindi in Calabria, dove il triste addio alla Santelli potrebbe far considerare finita l'esperienza del centrodestra. E poi c'è da parare i colpi degli alleati, smorzandogli le armi per poi, al momento giusto, ricordare loro chi li ha tenuti insieme. La coalizione attuale non sarà la federazione sognata con la Lega e osteggiata da FdI, ma è l'unico modo che ha Silvio per continuare ad accarezzare quel sogno improbabile chiamato Quirinale.
Matteo Salvini
Non che prima dell'affaire Morisi le cose andassero benissimo in casa Lega, ma la vicenda che ha coinvolto il suo braccio destro, dopo anni di campagne giustizialiste, ora rischia di affossare la leadership salviniana a via Bellerio. E allora la Bestia ferita, spaurita di fronte a Giorgetti e i governatori, cerca il colpo di coda. Scende in piazza - lo ha fatto a Milano, senza la Meloni, lo farà a Roma, con la Meloni - per provare a dimostrare che il successo leghista è stretto con un doppio nodo attorno alla stagione delle felpe e dei bacioni. Ma ad avvicinarsi troppo al sole si rischia di rimanere scottati. E così se la vicinanza con FdI potrebbe aiutare a stemperare l'animosità della sconfitta verso cui sembra incamminata la coalizione di centrodestra (dati perdenti a Milano, Roma, Bologna e Napoli), dall'altro caricare sulle spalle della Meloni responsabilità e importanza, rischia poi di fargli perdere ulteriormente terreno all'interno della stessa alleanza.
Giorgia Meloni
Per la leader di Fratelli d'Italia comunque andrà sarà un successo. Perdere a Roma - così come a Milano - gli evita di sprecare energie e non crea un ipotetico fronte interno con un nuovo leader di potenziale spessore nazionale. Giocare con le difficoltà di Lega e Forza Italia gli consente di costruire ancora il suo consenso interno all'alveo del centrodestra. Restare all'opposizione, senza governare, è una scelta che paga se si è da soli. E così la Meloni è disposta a cedere il passo ora per riguadagnarlo, con gli interessi, alla prima occasione utile.