Napolitano morto, quella difesa di Leone il marchio del garantismo. Ribattezzato “Il Cardinale” ma anche “Re Giorgio”

La capacità di tornare sui suoi passi: riabilitò il predecessore su Lockheed. Con Berlinguer alti e bassi

Napolitano morto, quella difesa di Leone il marchio del garantismo. Ribattezzato “Il Cardinale” ma anche “Re Giorgio”
di Francesco Bechis
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Sabato 23 Settembre 2023, 07:45 - Ultimo aggiornamento: 25 Settembre, 11:11

ROMA Uomo dalle scelte perentorie. Plasmate da un carattere solo apparentemente mite, nel Pci i compagni lo avevano ribattezzato "Il Cardinale", ma in verità ferreo e risoluto. A Giorgio Napolitano gli storici dovranno però dare atto di un tratto che è merce rara in politica. E cioè quello spirito autocritico che più volte, spesso a distanza di anni, ha riportato "Re Giorgio" sui suoi passi, finanche a fare ammenda per sé e per altri di scelte passate che il tempo ha rivelato sotto un'altra luce. Tutti ricordano il "mea culpa" per il plauso all'invasione sovietica dell'Ungheria nel 1956. Sconfessato negli anni con le parole e con i fatti, come quella prima visita istituzionale da Capo dello Stato: a Budapest, i fiori deposti in silenzio sulla tomba di Imre Nagy. Un ravvedimento postumo, "tardivo", hanno criticato in tanti. Ma sincero e di certo non isolato. Del resto la lunga storia di militanza e la scalata ai vertici del Pci di Napolitano sono costellate di tanti ragionati ravvedimenti, distinguo più o meno plateali rispetto alla linea del partito, non di rado scomodi. Allievo di Giorgio Amendola - ma i due non potevano essere più diversi in quanto a indole, impulsivo e vulcanico l'uno, imperturbabile il secondo - Napolitano si ritrovò in minoranza per lunga parte della sua vicenda a Botteghe Oscure. Con Enrico Berlinguer, carismatico leader, si rispettava ma non si capiva fino in fondo. Talvolta spingendosi a prenderne apertamente le distanze come quando, da capogruppo, tentò senza successo di frenare la violenta campagna dei compagni contro Craxi sulla scala mobile. Comunista, sì, ma a modo suo. «He is pinker than red», «è più rosa che rosso», commentò stupito un funzionario del Dipartimento di Stato americano ascoltando Napolitano ad Harvard, era il 1976.

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LA RIABILITAZIONE

Decisionista, perfezionista (ne sanno qualcosa i suoi assistenti al Quirinale), Napolitano sapeva tornare sui suoi passi.

Lo ha fatto quando ha scelto, appena presidente, di riabilitare in pubblico la figura di Giovanni Leone. Il predecessore al Quirinale costretto alle dimissioni anche da Berlinguer e i comunisti sulla scia di una feroce campagna della stampa rossa per lo scandalo Lockheed, cui anni dopo il presidente Dc fu riconosciuto estraneo. «Una prova estrema di responsabilità verso le istituzioni della Repubblica», riconobbe in seguito Napolitano parlando delle dimissioni di Leone, «un padre della Costituzione». In quella condanna facile dell'ex inquilino del Colle Napolitano scorse in seguito i prodromi di una pericolosa deriva giustizialista cara alla politica italiana. E contro certo giustizialismo sostenne, ai tempi del governo Renzi, la proposta di restringere il ricorso sconfinato e scriteriato alle intercettazioni telefoniche, «spesso manipolate, estrapolate dal contesto».

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Di queste angosce era morto nel 2012, ne era convinto, il suo carissimo consigliere e magistrato Loris D'Ambrosio, deceduto per un arresto cardiaco dopo «una violenta campagna» per le intercettazioni delle sue telefonate con l'ex Guardasigilli Mancino nell'inchiesta Stato-Mafia. Seguì una gogna mediatica chiusa nel nulla, poi la tragica fine. Fu un colpo duro per il Presidente, «certe cose non le dimentico». Tante le sfide combattute dentro e fuori le istituzioni e in ogni campo. Soprattutto lì dove l'etica e la politica si incontrano e devono trovare un compromesso. Fu il caso del discusso sostegno all'eutanasia per Eluana Englaro, la giovane rimasta 17 anni in stato vegetativo dopo un incidente. La prima, insanabile rottura con Berlusconi. Ma anche della riforma "Turco-Napolitano", che istituiva i primi centri di permanenza e che ancora oggi costituisce l'ossatura della normativa sui migranti in Italia. Sono le mille battaglie di Giorgio il "mite". Che come lui, piaccia o no, hanno lasciato il segno.
 

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