Giorgio Napolitano, Casini: «Europa e Alleanza atlantica sempre le sue stelle polari. Accettò il bis, pur non volendolo, per responsabilità»

Il ricordo del senatore: «Il governo Monti? Si profilava una fase drammatica, Berlusconi sollevato di lasciare»

Giorgio Napolitano, Casini: «Europa e Alleanza atlantica sempre le sue stelle polari»
di Barbara Jerkov
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Sabato 23 Settembre 2023, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 24 Settembre, 13:28

La notizia della scomparsa di Giorgio Napolitano coglie Pier Ferdinando Casini al Senato. «Se n’è andato un grande italiano», sussurra quasi il senatore, evidentemente turbato, «ne sentiremo tanto la mancanza»

Il suo ricordo più personale, presidente Casini?
«Quando lo nominai, da presidente di Montecitorio, a capo della Fondazione della Camera che avevo appena istituito. Dovevo scegliere tra i miei predecessori, e pensai naturalmente al più autorevole. Lo chiamai al telefono e mi rispose la signora Clio dicendomi che stavano andando a Capalbio e che lui stava guidando. “Già così è un pericolo pubblico”, mi disse, “meglio se la faccio richiamare, se glielo passo ora finisce che andiamo fuori strada!”». 

Naturalmente vi conoscevate già?
«Da molti anni, certo, e posso dire di averlo sempre ritenuto un uomo speciale, dallo stile straordinario.

Da ministro dell’Interno a parlamentare europeo a presidente della Camera, per non dire del Quirinale, ha sempre lasciato il segno. Aveva la non ovvia abitudine di non considerare i rivali politici dei nemici ma degli avversari che ha sempre rispettato. Nel ricordo non posso tralasciare il suo eccezionale rigore, la puntigliosità in ogni cosa che faceva, sempre precisissimo. Scrivere un documento con lui era come andare da studenti dal professore... per certi versi un supplizio, ma sempre una lezione».

Per lei, giovane democristiano, com’era rapportarsi con un leader comunista, qual è stato Napolitano per tutta la prima parte della sua vita politica?
«Nella fase in cui era un leader riformista del Pci io ero troppo giovane e senza ruoli formali per poter avere un rapporto diretto con lui. Ma da democristiano ho sempre condiviso quelle che furono le sue stelle polari: l’Alleanza atlantica e l’Unione europea. A Napolitano si deve anche la celebre frase di Berlinguer: l’eurocomunismo è più sicuro sotto l’ombrello della Nato. Una frase che rivendicò sempre con forza, anche a costo di gravi incomprensioni. Ritenne anche sempre essenziale, come i grandi leader Dc e come il suo predecessore Ciampi, coltivare in particolare i rapporti con Francia e Germania se l’Italia vuol essere motore dell’Europa».

 

Verrà ricordato nei libri di storia per esser stato il primo Presidente della Repubblica eletto due volte. Fu un passaggio drammatico della storia politica recente. Un fallimento dei partiti?
«Il Presidente della Repubblica è un’istituzione talmente forte e consolidata nel Paese che gli ultimi due Presidenti sono stati riconfermati entrambi. Segno del fallimento delle forze politiche? Può darsi. Ma certamente molto merito personale di Napolitano e Mattarella. Se non avessero interpretato nel modo migliore i rispettivi mandati la riconferma non ci sarebbe stata. Napolitano certamente non la voleva, tant’è vero che lasciò appena fu possibile. Ma il suo senso di responsabilità era più forte di tutto».

Rieletto, ricordiamo tutti quel discorso durissimo che pronunciò nell’aula di Montecitorio.
«Schiaffeggiò le forze parlamentari. Volle scoperchiare l’ipocrisia dei partiti dicendo loro: avete voluto che rimanessi, ora mi aspetto comportamenti conseguenti. Che naturalmente, ahimé, non ci furono».

La sua presidenza vide quel passaggio terribile che fu la crisi delle borse, lo spread impazzito, che portò alle dimissioni del governo Berlusconi. Un passaggio tutt’ora fonte di polemiche. Lei come lo ricorda?
«Su quei fatti sono state dette tante cose non vere. Quando Berlusconi uscì dal Quirinale dopo essersi dimesso, provava un intimo senso di liberazione».

Lo dice perché glielo confidò lui stesso?
«E’ talmente vero che Berlusconi si precipitò a votare la fiducia a Mario Monti. E quel governo “A-B-C”, come venne chiamato, ovvero Alfano-Bersani-Casini, partì con un ampio consenso salvo sfilacciarsi man mano che si avvicinavano le elezioni, con una corsa a sfilarsi alla fine».

Dunque Napolitano concorse alla nascita di un governo necessario in quella fase? 
«Si profilava una situazione drammatica. I governi tecnici sono come gli antibiotici, vanno presi il meno possibile ma in determinate circostanze sono necessari. Mario Monti in quel momento era la soluzione più giusta, anche se per quell’incarico Napolitano pagò un prezzo politico alto. E oggi che non c’è più posso dirle che ne sentiremo tanto la mancanza».

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