«Farò il pulp all’italiana», Gabriele Mainetti spiega perché non girerà Jeeg Robot 2. Ma promette sorprese con il secondo film

«Farò il pulp all’italiana», Gabriele Mainetti spiega perché non girerà Jeeg Robot 2. Ma promette sorprese con il secondo film
di Gloria Satta
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Domenica 21 Agosto 2016, 00:34 - Ultimo aggiornamento: 27 Agosto, 19:40
Una brevissima vacanza al mare, in Basilicata, prima di partire per il FrightFest di Londra, mitico festival horror, e poi sbarcare alla Mostra di Venezia. Per Gabriele Mainetti, il regista esordiente più acclamato delle ultime stagioni, è impossibile dimenticare Lo chiamavano Jeeg Robot, la sua opera prima che ha incassato oltre cinque milioni, vinto i premi più prestigiosi (sette David di Donatello, due Nastri d’argento, quattro Ciak d’oro, un Globo d’oro) e incantato i mercati stranieri.

Un po’ è lui stesso a non potere staccarsi dal film che uscirà in dvd e b-ray a settembre «carico di extra». Un po’ contribuisce il mondo del cinema che ora si aspetta il bis. Se lo aspettano anche quei produttori che un paio d’anni fa, quando Mainetti cercava i finanziamenti, gli avevano sbattuto la porta in faccia considerando il suo progetto troppo innovativo, anticonvenzionale e di conseguenza rischioso in un mercato pavido e ripetitivo.

«Dall’uscita in sala non ho smesso di lavorare un minuto, ma sono contento: mi sento finalmente capito», dice il regista. «Ma Jeeg Robot 2, che pure mi chiedono in tanti, non ci sarà. Sto elaborando un’idea del tutto nuova e ancora più ambiziosa, anzi folle».

Romano e romanista, celibe, senza figli, padrone innamorato di una splendida cagna ”weimaraner” di nome Nina, bella faccia da attore (in passato ha recitato nei film Il cielo in una stanza, Ultimo stadio), nato in una famiglia di imprenditori e «fissato» con il cinema fin dalla più tenera età, Mainetti racconta il momento magico che sta vivendo e i suoi progetti.

C’è il nuovo film, innanzitutto, che sta scrivendo ancora una volta con Nicola Guaglianone e Menotti. Intanto a Venezia presenterà lo spot da lui diretto per Renault (interpretato da Alessandro Borghi e Aurora Ruffino) e annuncerà un’iniziativa cui tiene molto: finanzierà l’esordio da regista di Claudio Santamaria, il protagonista di Jeeg Robot.

Di cosa si tratta?
«E’ un cortometraggio intitolato The Millionaire. Sarà un’opera di genere, ispirata a un fumetto e ambientata nel Parco Nazionale del Pollino, tra Basilicata e Calabria».

Ha deciso di recente di imbarcarsi in questa avventura?
«No, Claudio mi aveva parlato del suo progetto già sul set di Jeeg Robot e ora finalmente siamo in condizioni di fare il film».

Siete amici da molto?
«Da almeno vent’anni. Ci siamo conosciuti ai corsi di teatro di Beatrice Bracco e abbiamo recitato insieme in un paio di spettacoli».

Lei all’inizio voleva fare l’attore?
«No, ho sempre avuto in testa la regia. A farmi venire la voglia fu Il corvo, il film del 1994 con Brandon Lee. Ho studiato recitazione, ma anche musica e fotografia, esclusivamente per poter stare dietro la cinepresa con maggiore cognizione di causa».

Cosa le hanno insegnato gli ultimi, frenetici mesi scanditi dai successi della sua opera prima?
«Mi hanno fatto crescere. Ora mi sento più adulto».
E ha più fiducia in se stesso?

«Quella l’avevo già, anche se gli altri non la condivedevano. E pensare che non vengo dal nulla: prima di Jeeg Robot avevo diretto due corti ormai diventati di culto, Basette e Tiger Boy (quest’ultimo arrivato nella shortlist dell’Oscar, ndr). Ma in Italia entri in serie A solo se passi al lungometraggio».

E da noi tutti corrono in soccorso del vincitore, come direbbe Flaiano. Avverte la pressione di chi pretende da lei un nuovo exploit?
«Sì, e anche il desiderio di giocare sul sicuro, magari sul sequel di Jeeg Robot. Ma ho deciso di alzare l’asticella per non ripetermi e posso permettermelo: il nuovo film lo produrrò con la mia società Goon Films e Lucky Red».

Rivincita nei confronti di chi l’aveva respinta?
«Non potrei lavorare con chi non mi ha capito».
Perché sarà un film ”folle”?

«Giocherà con i diversi generi cinematografici coniugandoli con la tradizione italiana. Aspettatevi una sorpresa».
Si è spiegato perché Jeeg Robot ha fatto il ”botto”?
«Gli spettatori si sono ritrovati in una storia di riscatto e d’amore ambientata in periferia. Temi universali, raccontati però con un linguaggio nuovo. In più, i personaggi del film praticano la solidarietà: un motivo di speranza in un Paese che diventa sempre più egoista. Ecco, credo che Jeeg Robot sia un film sociale».

Si svolge a Tor Bella Monaca. Che sapeva di quel quartiere, lei che è cresciuto tra Aventino e Centro Storico?
«L’ho frequentato con mio padre, che aveva dei lavori là, e ci sono tornato con il teatro. Da ragazzo di buona famiglia, ho sempre avuto curiosità per i personaggi marginali, trasgressivi, un po’ loschi».
 
Che poster aveva in camera, da adolescente?
«Quelli di tre film capitali nella mia formazione: Taxi Driver, Il cacciatore, Pulp Fiction. Oggi appenderei il poeticissimo cartoon Wall-E».

Da romano, cosa si aspetta dalla sua città?
«Ridotta com’è, può solo migliorare. Sono in attesa».
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